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The Dark Pictures: The Devil in Me
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Recensione - The Dark Pictures: The Devil in MeXbox Series X | S Xbox OneGame

A poco più di tre anni dal lancio di Man of Medan, Supermassive Games e Bandai Namco Entertainment si apprestano a calare il sipario sulla "prima stagione" della loro antologia di avventure horror. L’onore, e l’onere, di celebrare al meglio questo importante traguardo spettano a The Dark Pictures: The Devil in Me, che mette per un attimo da parte le sceneggiature basate su miti e leggende in favore di una storia ispirata a fatti realmente accaduti. Scopriamo insieme di cosa si tratta.
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Il Gioco

The Dark Pictures: The Devil in Me è il nuovo capitolo dell’omonima serie di avventure interattive sviluppata da Supermassive Games. Dopo averci fatto affrontare minacce di ogni tipo, reali e non, il team britannico mischia le carte in tavola proponendo una sceneggiatura che pesca a piene mani da fatti di cronaca reali. Siamo a Chicago e l’anno è il 2022. I cinque membri della Lonnit Entertainment, una società di produzione specializzata in documentari su misteri e serial killer, stanno lavorando ad una puntata interamente dedicata a Henry Howard Holmes, ovvero colui chè è universalmente riconosciuto come il primo assassino seriale della storia americana. Secondo gli storici, H.H. Holmes, nel periodo compreso tra il 1861, l’anno di nascita, e il 1896, l’anno della sua esecuzione, uccise in modo brutale oltre 200 persone, molte delle quali trovarono la morte all’interno di un finto hotel edificato nel cuore della città di Chicago. Dalle ricostruzioni, il serial killer avrebbe progettato e costruito un vero e proprio labirinto fatto di stanze delle torture, passaggi segreti, muri semoventi e trappole di ogni tipo con il solo scopo di terrorizzare i clienti prima di ucciderli per soddisfare i propri macabri appetiti.

MX Video - The Dark Pictures: The Devil in Me

Una storia davvero raccapricciante ma, al contempo, anche molto interessante per chi, come la Lonnit Entertainment, punta a stuzzicare la morbosa curiosità degli spettatori nel tentativo di risollevare le sorti di uno show che, a voler essere onesti, non è mai riuscito a decollare. Stavolta però le cose potrebbero andare diversamente: una telefonata inaspettata offre alla troupe la possibilità di trascorrere un intero fine settimana in una villa nella quale un facoltoso appassionato sta costruendo una minuziosa riproduzione del “Castello delle Morte” di Holmes, resa ancora più interessante dalla presenza di una collezione di oggetti e documenti originali appartenuti proprio al serial killer. Un’opportunità davvero imperdibile, almeno per il regista nonché fondatore nella casa di produzione Charlie Lonnit, che convince i suoi quattro collaboratori, ovvero Kate, Mark, Erin e Jamie, ad accettare l’offerta, trascinandoli di fatto in un turbine di efferata follia.

Mi fermo qui per non rivelare nessun altro dettaglio sulla trama di The Dark Pictures: The Devil in Me, che riprende in tutto e per tutto la struttura dei precedenti capitoli. L’intera avventura si sviluppa infatti nell’arco di una sola nottata, durante la quale il giocatore controlla di volta in volta uno dei cinque protagonisti con l’obiettivo di sopravvivere e, nei limiti del possibile, scoprire quanti più dettagli possibili sulla vicenda, il tutto attraverso una sceneggiatura ricca di bivi e ramificazioni che hanno un impatto diretto sulla storia e, di conseguenza, sull’epilogo. Anche in questo caso sono infatti le scelte e le azioni del giocatore a modificare gli eventi, incluse quelle apparentemente più insignificanti, con conseguenze che possono addirittura portare alla morte di uno o più protagonisti prima del sorgere del sole, il tutto senza possibilità di appello visto che il gioco salva costantemente i progressi dopo ogni momento chiave. Anche in questo capitolo fa poi ritorno il misterioso personaggio interpretato da Pit Torrens e conosciuto come il Curatore. Il suo ruolo, proprio come nei capitoli precedenti, è quello di osservare dall’esterno le vicende, di commentare i momenti salienti e di offrire al giocatore dei misteriosi suggerimenti nel corso del gioco, che possono sia aiutare sia confondere ancora di più le idee a chi impugna il pad.

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Lato gameplay, The Dark Pictures: The Devil in Me si presenta come la diretta evoluzione delle meccaniche sviluppate da Supermassive Games nel corso di questi anni. Alla base di tutto troviamo l’esplorazione in terza persona, con la possibilità di interagire con vari documenti e oggetti, molti dei quali non sono fondamentali per proseguire ma permettono di ricostruire meglio gli avvenimenti o, come nel caso delle premonizioni, effettuare le proprie scelte con maggiore consapevolezza. Le novità principali da questo punto di vista riguardano la possibilità di scalare alcuni ostacoli o pareti, a volte anche spostando dei carrelli per permettere al personaggio controllato di completare questa azione, di scendere da punti sopraelevati, ma solo in caso di piccoli dislivelli, e di eseguire dei salti, ma solo in punti specifici delle ambientazioni. A questo si affianca poi l’inedita gestione dell’inventario a disposizione dei protagonisti, che ha un impatto diretto sulle meccaniche di gioco.

Ogni membro della squadra dispone infatti di uno o più oggetti specifici che possono essere usati durante l’avventura. Charlie, per esempio, porta con sé due attrezzi rudimentali con cui è possibile forzare le serrature più semplici, mentre la fonica Erin non può rinunciare al suo inalatore per l’asma e al suo microfono direzionale, in grado di captare anche i suoni più flebili. Mark, il cameraman, ha invece a disposizione una videocamera con zoom e un flash, ottimo per illuminare temporaneamente i bui corridoi della villa nel quale è ambientato questo capitolo. Kate, il volto del programma, porta invece con sé una torcia e una matita, che le permette di rendere visibili le scritte lasciate dai fogli strappati. La “tecnica” del gruppo, ovvero Jamie, dispone infine di un multimetro, che le consente di interagire con alcuni pannelli elettrici. A questa dotazione base si sommano poi alcuni oggetti extra, tra cui le chiavi necessarie per aprire alcune porte o lucchetti, che i protagonisti possono raccogliere nel corso dell’avventura e che, così come gli altri, rivestono un ruolo fondamentale.

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The Dark Pictures: The Devil in Me, proprio come tutti i precedenti capitoli, alterna infatti le fasi di esplorazione libera a dialoghi e sezioni più guidate, nelle quali il giocatore deve eseguire delle particolari azioni o completare dei QTE in un breve lasso di tempo. In alcuni casi, oltre a dover premere il giusto pulsante seguendo le indicazioni a schermo, il giocatore ha a disposizione pochi secondi per selezionare uno specifico oggetto del suo inventario tramite la croce direzionale, andando a modificare lo sviluppo degli eventi.Gli strumenti in possesso dei vari protagonisti sono inoltre fondamentali per la risoluzione degli enigmi, ma anche in questi casi si tratta di rompicapo di facile risoluzione, che non tengono impegnato il giocatore per più di un paio di minuti. Tutte le azioni e le decisioni prese dal giocatore influenzano poi anche i tratti caratteriali dei vari protagonisti, che come ormai consuetudine nei titoli della saga vengono ricapitolati attraverso caratteristiche fondamentali e che contribuiscono indirizzare a gli eventi su uno degli innumerevoli percorsi narrativi presenti nel gioco. A completare l’offerta troviamo poi i classici collezionabili. Alcuni, come le premonizioni, svolgono un ruolo attivo nella vicenda e offrono indizi potenzialmente interessanti mentre altri, come le inedite monete che è possibile raccogliere nelle varie ambientazioni, servono solo a sbloccare nuovi contenuti speciali, tra cui approfondimenti o diorami che riproducono i personaggi e alcuni momenti salienti della vicenda.

Una volta conclusa la prima run, che tiene il giocatore impegnato per circa 6-8 ore a seconda di quanto tempo si decide di dedicare all’esplorazione, si sblocca poi la cosiddetta “Curator’s Cut”, ovvero una versione alternativa della stessa storia che include sezioni extra o scene con prospettive diverse rispetto a quanto presente nella modalità standard. E’ inoltre opportuno segnalare che The Dark Pictures: The Devil in Me, proprio come il suo predecessore, offre al giocatore la possibilità di selezionare all’inizio di ogni partita il livello di difficoltà che preferisce tra i tre disponibili, che si differenziano per la difficoltà dei QTE e per il tempo messo a disposizione per le scelte, e che anche in questo caso è possibile vivere l’intera esperienza da soli o in compagnia. Nel secondo caso, si può decidere di giocare in rete in compagnia di un altro giocatore, alternandosi al controllo dei vari personaggi, o in locale con un massimo di altri 4 amici, decidendo all’inizio della partita quali ruoli interpretare e passandosi letteralmente il pad a seconda del personaggio attivo.

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Poche le novità da segnalare sotto il profilo tecnico. The Dark Pictures: The Devil in Me, come tutti i capitoli della saga, si basa sulla quarta edizione dell’Unreal Engine di Epic, ottimizzato anche in questo caso per sfruttare al meglio le potenzialità delle console di ultima generazione attraverso due diverse modalità grafiche che privilegiano rispettivamente la risoluzione o il framerate. Nessuna differenza anche per quanto riguarda doppiaggio e localizzazione. The Dark Pictures: The Devil in Me, proprio come gli altri capitoli, è infatti interamente tradotto in lingua italiana, sia per quanto riguarda i testi sia per quanto riguarda i dialoghi.

Amore

Bentornati jumpscare!

- Dopo un episodio povero di momenti in grado di far saltare il giocatore sulla sedia, Supermassive Games sembra aver corretto il tiro con The Dark Pictures: The Devil in Me. Il nuovo capitolo è infatti costellato di situazioni studiate a tavolino per spaventare il giocatore, sia attraverso ciò che vede, o spesso NON vede, sia attraverso eventi improvvisi, enfatizzati dall’uso magistrale del sonoro. Può sembrare un aspetto poco importante, ma si tratta di un elemento fondamentale in un’avventura di stampo cinematografico pensata per un pubblico abbastanza ampio che, per sua natura, non punta a terrorizzare ma bensì a creare la giusta tensione in chi la affronta.

Cos’è stato?

- Il secondo punto di forza di The Dark Pictures: The Devil in Me è senza ombra di dubbio il suo comparto audio.Già dal prologo il giocatore deve infatti imparare a convivere con scricchiolii, passi ovattati, grida, rumori di porte e, più in generale, con una sensazione di minaccia costante che ben si sposa con lo scenario da labirinto all’interno del quale si devono muovere i cinque protagonisti per sopravvivere. Come spesso accade, il modo migliore per godere della cura riposta dagli sviluppatori nel sonoro è ovviamente quello di giocare utilizzando le cuffie, ma anche senza questa accortezza l’ultimo capitolo riesce a garantire il giusto accompagnamento durante tutta l’avventura.

Trama avvincente

- Al netto di alcuni compromessi inevitabili, la sceneggiatura proposta da Supermassive Games per il quarto e ultimo capitolo della prima stagione si è rivelata di ottima qualità, sia per quanto riguarda lo sviluppo delle vicende sia per quanto riguarda la costruzione dei vari personaggi. Tutto in The Dark Pictures: The Devil in Me non solo funziona come dovrebbe, ma si sviluppa in modo estremamente naturale, senza troppi cliché e con il giusto ritmo dall’inizio alla fine. Una menzione speciale in questo caso va di diritto all’antagonista principale, il quale gode di una caratterizzazione magistrale nelle primissime fasi e di una gestione intelligente durante tutta l’avventura, che riescono finalmente a lasciare il segno nella memoria del giocatore anche dopo i titoli di coda.

Gameplay sempre più raffinato

- The Dark Pictures: The Devil in Me è in tutto e per tutto un’avventura interattiva al pari delle precedenti produzioni dello studio inglese, ma questo però non significa che tutti i giochi siano identici tra di loro, anzi. Ogni titolo portà con sé qualche novità, che se funziona viene poi riproposta con i giusti accorgimenti in quelli successivi. Per questo motivo, il quarto capitolo della collana horror di Supermassive Games rappresenta un po’ il punto di arrivo di un percorso di evoluzione iniziato con un gioco a telecamera fissa nel quale si poteva interagire in modo marginale con l’ambientazione e culminato con un’avventura con visuale libera nel quale trova spazio anche una sorta di inventario, per quanto in forma ridotta. Proprio questo aspetto permette all’ultimo capitolo di fare un netto salto in avanti rispetto al passato, così da risultare più di un semplice sequel e di poter catalizzare l’attenzione anche di chi pensa di aver già visto tutto quello che questo genere ha da offrire.

Scelte difficili

- Da sempre i titoli di Supermassive Games mettono il giocatore di fronte a situazioni nelle quali è necessario prendere delle decisioni complesse in pochissimi secondi, ma mai come stavolta mi sono trovato davvero in difficoltà. E non parlo solo del momento in cui è necessario effettuare la scelta, ma anche di tutti i dubbi e gli interrogativi che mi hanno assalito dopo aver finalizzato la mia decisione. Anche in questo caso preferisco non andare oltre per non incappare in fastidiosi spoiler, ma la sensazione è che gli sviluppatori abbiano volutamente inserito nel gioco una serie di situazioni estreme capaci di rendere ancora più avvincenti le partite in singolo e di aumentare il coinvolgimento generale durante le sessioni multigiocatore.

Odio

Ma come corri?

- La presenza della corsa in un titolo come The Dark Pictures: The Devil in Me è sicuramente apprezzabile e offre ai giocatori una maggiore varietà in termini di movimento, specie quando si gioca in gruppo o quando si punta a rigiocare il titolo per più di una volta. Peccato però che la realizzazione tecnica, almeno in questo caso, lasci un po’ a desiderare, con animazioni legnose e movimenti davvero poco realistici. Ovviamente non si tratta di un problema tale da compromettere l’esperienza, ma data la presenza di una telecamera in terza persona che mette sempre al centro il personaggio è comunque un difetto che influisce negativamente sull’impatto grafico generale.

Snodi forzati

- Sono consapevole che un certo tipo di esperienza horror debba scendere a compromessi con la logica ferrea per potersi reggere in piedi, ma in The Dark Pictures: The Devil in Me ci sono almeno un paio di situazioni nelle quali questo aspetto viene davvero esasperato. Passi che a nessuno vengano più di tanti dubbi nel ricevere un invito misterioso a passare un weekend nella riproduzione di un hotel degli orrori senza poter portare i propri smartphone, ma vedere i protagonisti che non si scompongono più di tanto di fronte a situazioni assurde o il “villain” che non si accorge che due dei membri della crew sono letteralmente appoggiati alla parete di fianco a lui in una stanza illuminata è qualcosa che va un po’ oltre. Una maggiore attenzione da questo punto di vista avrebbe sicuramente giovato.

Ancora niente cross-platform

- The Dark Pictures: The Devil in Me, così come tutti i precedenti capitoli della saga, può essere affrontato anche in rete in compagnia di altro giocatore, a patto però che quest’ultimo stia giocando su una piattaforma della stessa famiglia. Il gioco supporta infatti il multiplayer cross-gen, ma non quello cross-platform. Personalmente trovo si tratti di una limitazione davvero fastidiosa, che spero venga finalmente eliminata all’inizio della nuova stagione della saga sviluppata da Supermassive Games.

Doppiaggio non sincronizzato

- In modo simile a quanto accadeva nel precedente capitolo, anche in The Dark Pictures: The Devil in Me si può incappare in dialoghi non perfettamente sincronizzati con quello che accade a schermo, in frasi che vengono tagliate improvvisamente e in linee di dialogo non localizzate nella lingua selezionata (l’italiano, nel caso della nostra prova). Si tratta di un difetto marginale e facilmente risolvibile tramite patch., ma che purtroppo “sporca” l’esperienza complessiva in un’avventura che punta tutto o quasi sugli aspetti più cinematografici.

Tiriamo le somme

The Dark Pictures: The Devil in Me è senza ombra di dubbio il migliore episodio della prima stagione dell’antologia horror sviluppata da Supermassive Games, nonché il titolo più coinvolgente tra quelli proposti dalla software house inglese nel corso degli anni. Le atmosfere claustrofobiche e l’ottima realizzazione audio incorniciano in modo magistrale una sceneggiatura che, nonostante alcuni punti deboli, tiene incollati i giocatori alla sedia dall’inizio alla fine grazie a un “villain” davvero temibile e alla presenza di tanti jumpscare confezionati a regola d’arte. Il merito di questo risultato è da ricercare, ovviamente, anche nel gameplay, che grazie alle tante piccole aggiunte in questo capitolo riesce finalmente ad esprimere tutto il suo potenziale senza risultare mai troppo invasivo o, viceversa, troppo evanescente. Un’avventura horror che tutti gli amanti del genere dovrebbero aggiungere alla loro collezione e che conclude nel modo migliore la prima stagione della saga, in attesa di scoprire cosa hanno in serbo per noi gli sviluppatori con il prossimo ciclo narrativo.
8.3

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L'autore

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Classe 1985 e cresciuto a pane, Commodore e Amiga, nel 1991 riceve il suo primo NES e da allora niente è più lo stesso. Attraversa tutte le generazioni di console tra platform, GDR, giochi di guida e FPS fino al 2004, quando approda su Xbox. Ancora oggi, a distanza di anni, vive consumato da questo sentimento dividendosi tra famiglia, lavoro, videogiochi, corsa, cinema e serie TV, nell’attesa che qualcuno scopra come rallentare il tempo per permettergli di dormire almeno un paio d’ore per notte.

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i Le recensioni di MX esprimono il punto di vista degli autori sui titoli provati: nelle sezioni "Amore" ed "Odio" sono elencati gli aspetti positivi e negativi più rilevanti riscontrati nella prova del gioco, mentre il voto ed il commento conclusivo rispecchiano il giudizio complessivo del redattore sul titolo. Sono benvenuti i commenti e le discussioni tra chi è d'accordo o in disaccordo con tali giudizi, ma vi chiediamo di prendere atto del fatto che si tratta di valutazioni che non hanno pretesa di obiettività nè vogliono risultare vere per qualsiasi giocatore. La giusta chiave di lettura per le nostre recensioni sta nel comprendere le motivazioni alla base dei singoli giudizi e capire se possano essere applicate anche ai vostri gusti personali.
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