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Keeper

Recensione - KeeperXbox Series X | S DigitalGame

Fin dalla sua presentazione, Keeper ha catturato l’interesse di tutti, non solo per la scelta decisamente insolita dei protagonisti e per la bellezza dei panorami mostrati, ma anche in relazione al tipo di gameplay che il nuovo gioco creato da Double Fine avrebbe proposto. Ora che il gioco è finalmente arrivato siamo pronti a soddisfare ogni vostra curiosità nella nostra recensione!
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Il Gioco

Non è stato facile decidere come impostare questa recensione, perché se dovessi indicare un solo concetto con cui riassumere l’essenza di Keeper, direi: la sorpresa. Questo gioco ha in ogni momento una sorpresa di qualche tipo, che sia un panorama che si apre sotto i nostri occhi o un cambio di prospettiva, un’alterazione delle meccaniche di gioco, o la metamorfosi di qualcosa (o di qualcuno) in qualcos’altro. Non volendo compromettere per nessuno l’emozione di questa costante sensazione di scoperta e di stupore, non scenderò nei dettagli di ciò che vi attende nel gioco. D’altra parte, le sorprese che il titolo ha in serbo sono un fattore che non si può ignorare: costituiscono una precisa scelta di game design e di conseguenza influenzano la valutazione del gioco stesso. Insomma, non si può descrivere adeguatamente Keeper fingendo che non vi siano, per cui mi sia concesso di dire almeno: questo gioco è pensato per sorprendervi, e vi sorprenderà!

MX Video - Keeper

E pensare che Keeper inizia in maniera tutto sommato compassata: il gioco ci porta in un lussureggiante mondo selvaggio (la presenza dell’uomo è un lontano ricordo), con uno stormo di uccelli marini che viene attaccato da uno sciame di una misteriosa entità/sostanza ostile, lo Sterpomarcio. Uno di questi uccelli, Ramoscello, precipita sopra un faro costiero dismesso ed in questo modo finisce per “risvegliarlo” dal suo secolare letargo: il Faro – che scopriamo così essere una creatura viva e senziente – non soltanto scaccia lo sciame utilizzando il suo potente fascio luminoso, ma pungolato da Ramoscello inizia a scuotersi, oscillare... fino a liberarsi dalla sua base di cemento e incredibilmente sviluppare quattro esili arti inferiori, grazie ai quali prende a camminare. Inizia così, dopo questa cinematica iniziale, uno dei tutorial più creativi e poetici che mi si sia stato dato di vedere, con Faro che letteralmente barcolla giù dal punto sopraelevato dov’era stazionato e noi che siamo chiamati a gestire il suo assai precario equilibrio e controllo delle gambe appena sviluppate. Avete presente quelle scene da documentario in cui un giovane cucciolo prova a muovere i suoi primi incerti passi, finendo il più delle volte col didietro per terra? Ecco, così è Faro nelle prime fasi di Keeper e più che camminare, si tratta quindi di imparare a reggersi in piedi, compensando opportunamente le oscillazioni che accompagnano i nostri primi passi per evitare di stramazzare al suolo in una nuvola di polvere! Come nella realtà, la soluzione a tutto ciò è procedere per piccoli passi, mentre la nostra sicurezza aumenta sempre più e saremo ben presto in grado di camminare senza incertezze (e non solo, nel giro di poco tempo il Faro diventa capace di compiere un bello scatto, premendo il tasto “A”).

Faro si incammina quindi lungo una strada derelitta, tappezzata da rottami di auto consumate dal tempo e case diroccate, incoraggiato dallo svolazzante Ramoscello: la strada si fa rapidamente angusta ed irta, fino a portarlo al cospetto di una cima montuosa, da cui un misterioso “occhio” domina il mondo e sembra fissare Faro, quasi richiamandolo a sé.

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A questo punto si può dire che termini la fase introduttiva del gioco e questi pochi minuti sono già sufficienti a Keeper per mettere in mostra alcuni dei suoi elementi caratterizzanti. In una classifica basata sull’impatto avuto nella mia esperienza di gioco, metto al primo posto le animazioni: Faro e Ramoscello sono “personaggi” evidentemente assai complicati da rendere vivi, credibili e verso cui creare empatia, eppure gli animatori di Double Fine, con un lavoro a mio avviso degno dei migliori studi d'animazione cinematografica, ci sono riusciti. Basta osservare il modo in cui Ramoscello si accoccola avvinghiandosi alla sommità del Faro, una volta resosi conto di essere al sicuro, o come Faro stesso venga umanizzato nelle sue movenze e sia innegabilmente capace attraverso un body language minuziosamente curato di avere una sua chiara espressività. D’altra parte, Keeper è un gioco senza parlato e senza una riga di testo, e una scelta del genere risulta percorribile solo in quanto sostenuta da un’animazione davvero di primo livello. Al secondo posto, ma non è troppo il caso di fare classifiche, viene l’ambientazione: la fantasiosa, ricca bellezza del mondo di gioco non può lasciare indifferenti e non serve nemmeno spenderci tante parole, basta una rapida occhiata alle immagini che accompagnano questo testo, per rendersene conto. E’ un mondo raffigurato con tratti pittorici, non necessariamente realistici, anzi spesso influenzati da una venatura di surrealismo, pieno di vita (da subito si notano bizzarri animaletti che ci scrutano dai loro anfratti, uccelli che volano in lontanza, gigantesche creature che passano all’orizzonte, imponenti nonostante la distanza) e che ben presto scopriamo essere sensibile alla luce emanata dal Faro: una volta raggiunti dalla luce, i vegetali fioriscono e crescono, gli animali possono esserne spaventati oppure risvegliati, le strutture lasciate dallo Sterpomarcio si sgretolano. A rendere particolarmente suggestivo e piacevole aggirarsi in questo modo ci pensa poi la "curated camera" predisposta da Double Fine, che riprende le scene di gioco muovendosi seguendo una propria regia volta a focalizzare la nostra attenzione su certi elementi, oppure al contrario allargandosi per farci apprezzare la maestosità del panorama appena disvelato... una feature davvero ben realizzata ed azzeccata.

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Un altro elemento che da subito si fa notare è il pregevole accompagnamento musicale che segue il gioco, sottolineando le diverse situazioni e creando un’atmosfera adeguata al contesto che si sta attraversando. E’ uno strumento davvero potente ed importante (ricordiamolo, in Keeper non ci sono testi, tutto lo storytelling è ambientale), e non è un caso che il responsabile dell’audio, Camden Stoddard, sia spesso apparso al fianco del direttore creativo Lee Petty per presentare e parlare del gioco.

Grafica, animazioni, audio: mettendo insieme tutti questi sofisticati elementi risulta evidente che Keeper sia una produzione di grande impatto e, diciamolo pure, sicuramente “impegnativa” sul piano industriale ed economico. E’ una caratura sostanzialmente inedita per Double Fine e credo valga a testimoniare perfettamente cosa possa significare per un developer di questo tipo avere il pieno supporto di un publisher come Xbox Game Studios: Keeper è il primo lavoro dello studio realizzato integralmente dopo l’acquisizione da parte di Microsoft, ed in effetti fin dalle prime fasi di gioco si percepisce un deciso cambio di passo nella produzione, rispetto al passato.

Venendo a parlare del gameplay, è stato proprio lo stesso Petty (Tim Schafer, il carismatico fondatore di Double Fine, non ha avuto un ruolo “di prima fila” in questo progetto) a raccontare che l’ispirazione per questo gioco gli venne quando durante il periodo del lockdown ebbe la possibilità di dedicarsi ad una delle sue grandi passioni, avventurarsi zaino in spalla nella natura. Difatti,e anche in questo caso fin da subito, è questo ciò che si fa in Keeper: si avanza alla scoperta di un territorio inesplorato ed affascinante, muovendoci spesso lungo un sentiero (reale o metaforico) tracciato, ma ben attenti a cogliere l’opportunità di una deviazione che potrebbe portarci a nuove ed inattese scoperte. Faro ha dalla sua la possibilità di puntare la sua luce in ogni direzione (in questo modo evidenziando oggetti verso cui far puntare Ramoscello, oppure liberando la via da blocchi dello Sterpomarcio o attivando “ricettori” di vario genere), ma non ha modo di interagire materialmente con l’ambiente, ma per far ciò può contare sulla collaborazione del suo pennuto compagno (ma non solo...), che è in grado ad esempio di azionare ingranaggi con le zampe oppure di usare il becco per spostare e/o trasportare oggetti.

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La combinazione di queste abilità ci fornisce la chiave per risolvere le situazioni problematiche che si incontrano lungo il cammino, andando così a sbloccare l’accesso ad una nuova sezione del percorso, sempre più vicina alla montagna innevata che il duo pare deciso a raggiungere. I ruoli sono quindi abbastanza consolidati, ma le meccaniche da padroneggiare non lo sono affatto, dato che cambiano in continuazione, rimanendo inalterato solo lo schema di fondo con cui affrontare i problemi. Ogni sezione del percorso, oltre che essere caratterizzata da un’ambientazione propria (e la varietà di biomi rappresentata in Keeper è in effetti considerevole) è dedicata ad un determinato tipo di puzzle, introducendo eventualmente un nuovo tipo di meccanica, che però non si “accumula” in un ipotetico skill-set dei protagonisti, bensì viene abbandonata non appena si lascia l’area ad essa dedicata. Ad esempio, in una sezione alcune nuvolette rimangono avvinghiate tra le propaggini di Faro, conferendogli un’eccezionale leggerezza e rendendolo così in grado di compiere ragguardevoli salti (e se vi stupite per un Faro che salta, non avete ancora visto niente), in un villaggo saremo chiamati ad attivare con la sua luce dei pulsanti che addirittura hanno la capacità di muovere il tempo avanti e indietro... e mi fermo con gli esempi a questi casi che si incontrano abbastanza presto nel gioco.

Attenzione però, Keeper non è Portal, o The Witness, non è un gioco fondato su enigmi spacca-meningi. Gli autori lo definiscono una “atmospheric puzzle adventure” e per quanto le etichette possano essere utili solo fino a un certo punto, questa ha il pregio di evidenziare che la componente esplorativa rimane sempre prevalente: non ci si trova mai nel gioco bloccati a lungo tempo di fronte ad un puzzle che ci lascia interdetti. L’accento, anzi, è sempre posto sul fascino dell’esplorazione, sul piacere dell’interazione anche senza secondi fini con l’ambiente... ad esempio provare ad illuminare un certo bocciolo per vederlo fiorire, o raggiungere uno dei punti panoramici semi-circolari da cui in effetti si può godere di viste mozzafiato.

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Insomma, e per dirla nelle parole più semplici possibili, Keeper è un gioco facile. Non si può morire, di fatto non ci si può nemmeno smarrire (anche se a un certo punto arriva una sezione di “quasi open world” nella quale può sicuramente capitare di non andare subito dritti al punto) e i puzzle sono quasi sempre più che abbordabili, solo nell’ultima parte del gioco ho trovato un paio di situazioni dove a mio avviso certi elementi avevano una logica non particolarmente intuitiva: nulla di proibitivo, tant'è vero che ho concluso felicemente la mia run senza momenti di frustrazione.

A questo proposito, vediamo di affrontare un tema che sicuramente incuriosisce molti: quanto dura Keeper? Indicativamente siamo intorno alle 10 ore di gioco, ma tutto dipende da quanto si decide di “correre”: la durata può ridursi sensibilmente se si decide di divagare il meno possibile, mentre può aumentare anche di molto se si segue il consiglio degli sviluppatori e ci si gode ogni tratto di questa particolarissima escursione con la calma che merita. Ad incentivare la volontà di non andare troppo diretti verso l'obiettivo, mi piace segnalare la bella idea di posizionare in anfratti variamente nascosti lungo il percorso (in linea di massima, se ne trova uno per ciascuna zona) dei simulacri diroccati che possiamo riportare all’antica forma usando la luce del Faro. Ancor più interessante è il fatto che alla scoperta di ciascuno di essi sia legato lo sblocco di un achievement, il cui testo contiene un breve riferimento agli eventi avvenuti nel mondo di gioco: si tratta dell’unico contributo testuale alla ricostruzione della lore del mondo, altrimenti affidata integralmente al visual storytelling. Beninteso, il gioco ha una sua struttura narrativa, non è semplicemente un “andiamo in giro a risolvere puzzle”, ci sono passaggi di narrazione forti e obbligati, colpi di scena clamorosi così come un finale in piena regola: ciò che viene totalmente lasciato a chi gioca è l’interpretazione di quanto accade, le motivazioni dei vari protagonisti e direi anche la natura ed il ruolo delle misteriose entità che entrano in gioco, a cominciare dallo Sterpomarcio.

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A livello grafico Keeper, che è sviluppato con Unreal Engine, non prevede opzioni, è possibile unicamente scegliere se disattivare il motion blur, che comunque non mi è sembrato troppo marcato, anche perché non sono poi frequenti (ma ci sono) i momenti concitati, con spostamenti rapidi: su Series X il gioco si è dimostrato comunque stabile e fluido. Ricordiamo infine che Keeper, disponibile a partire da oggi, è incluso senza costi aggiuntivi in Xbox Game Pass Ultimate.

Amore

Un mondo meraviglioso

- Che il lavoro di world building sia il punto di forza del gioco è palese fin dalle primissime battute ed è un’impressione che trova continue conferme mentre si prosegue a giocare. Quasi superfluo quindi citarlo tra questi “motivi d’amore”, ma il lavoro svolto da Double Fine è così ragguardevole che non si può non farlo, e non è difficile prevedere che il fortissimo impatto visivo dato da questo mondo variegato, traboccante di vita e di colori, al tempo stesso alieno e familiare, sarà l’elemento principale per cui Keeper saprà farsi apprezzare e ricordare. Inoltre, ho scelto di usare proprio il termine “meraviglioso” perchè è questo l’aspetto che più mi ha colpito: il mondo di Keeper (e in esso ovviamente includiamo tutte le animazioni che lo rendono vivo) non è semplicemente “bello”, ma ha la rarissima capacità di sorprendere, di lasciare letteralmente a bocca aperta per la meraviglia... capacità ai giorni nostri sempre più rara.

Ramoscello!

- Non escludo che a qualcuno risulterà indifferente o anche peggio, ma per quanto mi riguarda Ramoscello è la mascotte che ci meritiamo e che non sapevamo di volere. Adesso che l’ho visto, e ho visto le splendide animazioni con cui Double Fine gli ha dato vita, voglio tutto di Ramoscello! Ho già lo sfondo con Ramoscello, ma voglio anche la maglietta di Ramoscello, la mug di Ramoscello, magari anche la cover per Series X di Ramoscello: evviva Ramoscello! Solo, magari... si sarebbe potuto scegliere un nome diverso?

Cambiamento costante (il bello)

- La mia personalissima sensazione è che in Double Fine si sia guardato con particolare attenzione a quanto realizzato in questi anni dal buon Josef Fares, con i suoi celebrati It Takes Two e Split Fiction: Keeper ha infatti (con un ben minore tasso adrenalinico, va riconosciuto) la stessa incrollabile voglia di cambiare, di tenerci sulle spine, di proporre una meccanica ed abbandonarla non appena rischia di diventare un’abitudine, di non finire quando ci si aspetta che possa finire, in una parola… di stupirci. E’ come percorrere un sentiero di montagna, dove girata una curva ti trovi davanti un panorama mozzafiato che non avresti immaginato, che però da un momento all’altro può trasformarsi nel binario di un ottovolante e trascinarti in un repentino saliscendi di situazioni impreviste.

Odio

Cambiamento costante (il brutto)

- Com’è normale, ogni medaglia ha il suo rovescio e anche la costante scommessa di Keeper di non essere mai uguale a sé stesso presenta il suo conto, in particolare nella sensazione che certe sezioni e trovate, specie nella seconda parte, siano presenti più che altro per prolungare l’esperienza e che questo approccio da “tutto può succedere” risulti un po’ fine a sé stesso. Mancando un substrato narrativo forte, in grado di dare un sostegno ai rocamboleschi cambi di registro, ritmo e ambientazione che il gioco propone, Keeper rischia di perdersi un po’ per strada e alla lunga lo stupore per ambientazioni e situazioni proposte (“ma guarda te cosa si sono inventati!”) può trasformarsi in un certo disorientamento (“...a cosa diamine sto giocando?”).

Come sarebbe, niente foto?

- Giuro che ho guardato tre volte la schermata dei controlli e, non contento, ho provato tutte le combinazioni possibili di tasti per non lasciare nulla di intentato, ma alla fine ho dovuto arrendermi all’evidenza: Keeper non ha un photo mode e questa mancanza fa davvero gridare al sacrilegio, considerato quanto di magnifico il gioco ha da mostrare. Se è vero, come ha raccontato Lee Petty, che l’ispirazione per il gioco nasce dalla passione per il trekking... che escursione è mai questa, dove ci viene precluso di portarci a casa qualche foto ricordo? L’unica consolazione in merito è questa: ci fosse stato il photo mode probabilmente avrei sfondato lo spazio riservato sulla console nel giro di un paio di sessioni!

Tiriamo le somme

Con Keeper il catalogo di Xbox Game Studios, publisher che sempre più non teme confronti in termini di diversificazione della propria proposta e sostegno all’autorialità nel gaming, si arricchisce di un ulteriore fiore all’occhiello, destinato a figurare tra i progetti più interessanti dell’anno. Certo, il gioco propone un’esperienza “chill”, rilassata e alla portata di tutti, per cui è difficile consigliarlo a chi cerca un certo tasso di sfida o comunque un’interazione intensa con il proprio gioco. Tutti gli altri si preparino ad un’esperienza memorabile, visivamente meravigliosa, carica della giusta dose di good vibes e… piena di sorprese!
8.5

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L'autore

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La sua passione per il gaming nasce nel lontanissimo 1982 con Gorf per Vic-20, ma da quando ha scoperto le "gioie" della caccia agli obiettivi, gioca solo su Xbox. Il suo nemico giurato è l'Arretrato, smisurato ed in costante aumento. Maguzzolo però non si arrende: armato di sei console ed un numero sterminato di controller, continua a dare battaglia.

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i Le recensioni di MX esprimono il punto di vista degli autori sui titoli provati: nelle sezioni "Amore" ed "Odio" sono elencati gli aspetti positivi e negativi più rilevanti riscontrati nella prova del gioco, mentre il voto ed il commento conclusivo rispecchiano il giudizio complessivo del redattore sul titolo. Sono benvenuti i commenti e le discussioni tra chi è d'accordo o in disaccordo con tali giudizi, ma vi chiediamo di prendere atto del fatto che si tratta di valutazioni che non hanno pretesa di obiettività nè vogliono risultare vere per qualsiasi giocatore. La giusta chiave di lettura per le nostre recensioni sta nel comprendere le motivazioni alla base dei singoli giudizi e capire se possano essere applicate anche ai vostri gusti personali.
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