Recensione - Ready or Not

Il Gioco
Un’altra notte infinita a Los Sueños, mentre il furgone blindato sfreccia tra le strade umide dei quartieri poveri a est della città. Posso vedere i grattaceli scintillanti del centro, lontani e immacolati, cristallizzati in una quiete che promettono un futuro luminoso per tutti gli abitanti. Ma non è così, non lo è mai. Mentre scendo dal furgone, ripasso con il mio team gli obiettivi dell’operazione: smantellare un importante traffico di metanfetamina che semina morte per le strade. Per puro caso è stato scoperto un laboratorio in una villa abbandonata e fatiscente, in uno dei quartieri più marci della città. Un marciume che si riversa per le strade come un’infezione. Apro il mio palmare e osservo la planimetria della casa, osservo i possibili punti d’accesso e decido di muovermi con il mio team verso il cortile di un appartamento accanto alla villa, collegato a quest’ultima con un rudimentale ponte di legno che si regge per grazia divina. Entreremo da lì, per provare a coglierli di sorpresa. In formazione a diamante avanziamo, nella notte buia con i nostri visori notturni, mentre cerchiamo di non far rumore. Passando accanto alla palazzina sentiamo delle voci, bisbigli disperati nella notte di tossici senza più nessuna speranza. Dobbiamo stare attenti, sono imprevedibili, non possiamo fidarci di nessuno. Ordino alla mia squadra di affiancarsi alla porta sul retro, mentre passo la mia Mirror Gun sotto la porta e controllo oltre. Dal piccolo visore vedo una stanza buia, qualche materasso a terra, un sacco di sporcizia. Sembra tutto sgombro, ma poi noto un movimento in corridoio. Una donna, di sfuggita. Con il grimaldello scassino la serratura e faccio entrare la mia squadra. “Libero!” esclama Fernandez, lasciando cadere sul pavimento una luce chimica verde, per segnalare che la stanza è sgombra. Entro in corridoio, ed è uno schifo. Ci sono troppe luci accese, quindi rimuovo il visore notturno e accendo la torcia che ho innestato al mio fucile d’assalto, rinunciando però così al mio affidabile puntatore laser.
MX Video - Ready or Not
Arriviamo in cucina, dove troviamo un uomo in stato confusionale. Gli ordino di mettersi in ginocchio e di tenere le mani in vista, ma lui non muove un muscolo, limitandosi ad insultarmi. Se ne sta lì con le braccia lungo i fianchi, come per sfidarmi. Miro con l’arma e insisto, con cattiveria imperativa questa volta. L’uomo, che palesemente non vede una doccia da giorni, si abbassa in ginocchio sul lurido pavimento, lanciandomi un ultimo insulto. Ordino a Fernandez di ammanettarlo e di confiscare eventuali armi. Sentiamo dei passi al piano di sopra, qualcosa non va. Sanno che siamo li? Con il mio team al seguito salgo le scale della palazzina, ritrovandoci in un lungo corridoio e da cui si affacciano diverse porte aperte... troppe porte aperte. Un ramo mosso dal vento colpisce il vetro della finestra e per poco non sparo un colpo. Cerco di mantenere la calma, sbircio in una delle stanze e vedo scaffali in metallo su cui sono posati vassoi colmi di metanfetamina. La Villa è dove fabbricano la droga, ma è nella palazzina che la smerciano. È tutto collegato. Mentre segnalo le prove al Quartier Generale, noto qualcos’altro. Una scrivania, logorata dalle troppe sigarette e dal sudiciume, su cui sopra sta un monitor. Mi avvicino e vedo la videata di diverse telecamere in tempo reale posizionate all’esterno della palazzina. Sanno che siamo lì, e lo sanno da un po’.
Nemmeno il tempo di elaborare un piano che sento dei colpi d’arma da fuoco nel corridoio alle mie spalle. Il mio team risponde al fuoco, segnalando la presenza di ostili. Barlumi di luce divampano nel buio per pochi secondi, prima che cali nuovamente il silenzio. Uno dei miei uomini è ferito ma sta bene, può ancora combattere. Mi avvicino al corpo del criminale a terra, armato di fucile a pompa. Povero disgraziato, non ha avuto scampo. Mentre aggiorno il QC della situazione, con la coda dell’occhio vedo un movimento: la donna intravista precedentemente nel corridoio è lì, in un angolino, immobile. Alzo la mia arma verso di lei e le ordino di inginocchiarsi. Lo fa, è spaventata. Forse è una prigioniera? Mi avvicino a lei, lentamente, mentre ordino alla mia squadra di controllare la porta alle mie spalle. Mentre mi avvicino alla donna, ne vedo i tratti emaciati, la carnagione pallida, i capelli sporchi e le piaghe che le coprono il corpo. Mentre sono circa a un metro da lei le ordino di voltarsi, in modo che possa ammanettarla. Nel momento stesso in cui le dò l’ordine, con la coda dell’occhio vedo alla mia sinistra un movimento. Mi volto e apro il fuoco con la mia arma, appena in tempo, verso un uomo che mi stava puntando con la sua pistola. Per un pelo, penso. Giusto il tempo di sentire una lama lacerarmi il collo. La donna, in piedi accanto a me, mi ha appena pugnalato. Il suo sguardo confuso e folle incrocia il mio. Le gambe cedono, cado a terra e vedo l’ostile venire falciato da una raffica di colpi dalla mia squadra. Barlumi di luce divampano nell’oscurità per pochi secondi, prima di diventare buio per sempre.

Ho deciso di iniziare la mia recensione di Ready or Not con questo breve resoconto di una delle mie prime missioni affrontate nel gioco, perché credo sia il modo più onesto per poter trasmettere ciò che ho provato giocando l’opera di VOID Interactive. Perché il gioco è un titolo cupo, sporco, ansiogeno, punitivo, imperfetto e dannatamente divertente da giocare. Partiamo con ordine: Ready or Not è disponibile da diversi anni in accesso anticipato su PC, dove ha saputo ritagliarsi una notevole community di appassionati, e ora è arrivato nella sua forma completa anche su console. Siamo di fronte ad un FPS tattico cooperativo in cui assieme ad altri 4 amici si affrontano varie operazioni SWAT sparse per la fittizia città di Los Sueños (una versione alternativa di Los Angeles). Le varie missioni portano la squadra a compiere arresti, brecce e assalti per sventare le diverse attività criminali che dilagano per le strane, come salvare ostaggi da teppisti impazziti, irrompere in laboratori di droga, salvare schiavi dentro un giro di pornografia illegale e così via. Il gioco presenta situazione e tematiche piuttosto forti, che abbracciano un realismo viscerale, senza mai cadere comunque nell’esagerazione e nello squallore.
Una volta scelta la missione da svolgere, si deve gestire l’equipaggiamento del proprio agente, scegliendo il tipo di elmetto, corazze, armi e moduli da innestare. La personalizzazione del proprio agente è molto vasta e va studiata in base al tipo di operazione che si deve svolgere. Complice anche il fatto che non è presente alcuna statistica a schermo, la personalizzazione va fatta con un certo criterio e una buona dose di sperimentazione. Mi spiego meglio: il gioco è realistico, quasi simulativo, portando la pragmatica scelta di armi e strumenti a essere fautrice di vita o morte. Ma le statistiche dell’arma/strumento non sono riportate in nessun menu. Quanta gittata ha quest’arma? Il rinculo? La cadenza di fuoco? Questo mirino che zoom ha? Meglio la corazza in kevlar, acciaio o ceramica? La risposta a queste domande si trova nella breve descrizione dell’arma e nella sperimentazione sul campo. Capire come equipaggiare il proprio agente diventa essenziale, ma mai frustrante. Alcuni moduli spiegano più dettagliatamente il loro utilizzo (es: riduzione del rinculo dell’arma, aumenta la precisione, ecc) e combinare al meglio il tutto si rivelerà via via più facile man mano che giocate. Si combatte in luoghi stretti? Forse è meglio usare fucili con la canna corta. È completamente notte? Forse meglio usare il visore notturno che la torcia. Si combatte contro criminali addestrati e ben armati invece dei soliti teppisti di strada? Forse la corazza più pesante con visiera antibalistica è la scelta più sensata. E così via, finché con l’esperienza non si inizia anche a padroneggiare al meglio i vari gadget, come le granate stordenti, maschere anti-gas, arieti, scudi balistici e chi ne ha più ne metta.

Una volta scelto l’incarico e preparato l’equipaggiamento, si ha accesso ad un briefing che permette di pianificare al meglio l’operazione. Si può leggere un breve rapporto introduttivo, ascoltare le chiamate al 911 dei testimoni sul posto, osservare fotografie dell’obiettivo, leggere le schede sui criminali riconosciuti o degli ostaggi accertati, ecc. Inoltre grazie alla planimetria dell’edificio si possono studiare percorsi alternativi e punti di accesso alla struttura. Tutto è nelle mani del giocatore Caposquadra (colui che hosta la partita), quindi assicuratevi di giocare con persone fidate, in alternativa il matchmaking fa decisamente il suo, grazie anche al Cross-play, ma tenete il microfono ben acceso. La comunicazione è fondamentale.
Una volta completata tutta la preparazione si scende in campo e si ha un solo tentativo per completare la missione. Non esistono checkpoint, una volta iniziata la missione questa va portata a termine. In caso di sconfitta o interruzione della partita, l’operazione va ripetuta dall’inizio. A rendere più avvincente il tutto c’è l’IA dei nemici, un lavoro degno di merito svolto dal team di sviluppo, che rende i criminali davvero tosti da abbattere. Non tanto per la loro precisione o resistenza, ma per le tattiche che usano per provare ad abbattere i giocatori. I nemici cercano di aggirarci, ingannarci, di farci cadere in trappola (oltre che piazzare delle trappole vere e proprie). Consapevoli di questo, è saggio che il team si muova con intelligenza, pianificazione e senza fare alcuna azione avventata. Una volta che un membro della squadra cade a terra, non c’è rianimazione né rientro. Una volta che si muore, si muore. Senza calcolare che i civili da salvare possono essere davvero imprevedibili a causa dello stato di panico in cui si trovano, oppure è possibile che alcuni nemici fingano la resa prima di colpirci alle spalle; è chiaro che il gioco va affrontato con coordinazione e precisione. Posso assicurarvi che la soddisfazione di un’operazione ben riuscita è davvero tanta, gargantuesca perfino nelle missioni più complesse e avanzate. Un giubilo di urli liberatori e sospiri troppo a lungo trattenuti, mentre l’ansia poco a poco lascia il vostro corpo. Grazie a una raccolta di 20 missioni da completare (18 originali + 2 nuove di zecca per questa versione), Ready or Not sarà un’esperienza ricca di tensione e divertimento.
Ma ci sono buone notizie anche per chi preferisce giocare in solitaria, perché il team di sviluppo ha introdotto una modalità single player che funziona perfettamente nell’esperienza di gioco. La modalità in questione di chiama Commander e ci mette nei panni del comandante del team SWAT. Una volta completato il tutorial (caldamente consigliato) ci si ritrova a vagare per la stazione di polizia di Los Sueños che funge da vero e proprio Hub dell’esperienza. Inizialmente saranno accessibili poche stanze come il poligono di tiro per fare pratica, l’armeria dove si può configurare l’equipaggiamento, lo spogliatoio dove è possibile personalizzare il proprio agente e la sala briefing dove avviare le missioni. Una volta accettata la missione si può personalizzare la propria squadra chiamando diversi Agenti gestiti dalla IA, ognuno con il proprio nome, storia e abilità unica da sfruttare in campo. Per esempio un Agente può avere come bonus il miglioramento della corazza per tutta la squadra, oppure rendere più efficaci lo sfondamento di porte con l’ariete, o rendere la squadra più persuasiva quando si ordina a un ostile di arrendersi, e così via.

Queste abilità, per quanto non impattano aggressivamente nell’esperienza, possono comunque dare un certo vantaggio se assegnate con criterio. Da tenere sotto controllo è la condizione di stress di ogni membro della squadra, perché affrontare certe missioni delicate che magari coinvolgono temi crudi e pesanti, può portare a uno status di ansia e stress in alcuni agenti. Questo può compromettere la loro resa sul campo, portando a situazioni davvero spiacevoli. Per evitare questi incidenti, è consigliato mandarli in terapia e prendersi cura del loro stato emotivo. Sta al giocatore capire quanto tirare la corda, ma ricordate che una volta che un membro della squadra muore, è perso per sempre e andrà rimpiazzato con qualcun altro.
A differenza del Multiplayer dove sono disponibili fin da subito, nella modalità Single Player le varie missioni vanno sbloccate man mano che si completano, dando un certo senso di progressione. Anche l’Hub della Stazione di Polizia si amplia, man mano che le missioni vengono completate, dando accesso ad aree che prima non erano raggiungibili. Sia chiaro, non è presente una vera e propria modalità storia, ma il pacchetto offerto fa comunque il suo, intrattenendo quel giocatore solitario alla ricerca di un’esperienza tattica e stimolante.
Il Gameplay su console si adatta perfettamente al controller, con comandi fluidi e ben organizzati. Il team infatti ha pensato bene di rendere l’esperienza sì tattica, ma anche piuttosto intuitiva. Per esempio, davanti a una porta chiusa si possono fare diverse azioni premendo lo stesso tasto e per farle basterà puntare la visuale nella zona corretta. Per fare un esempio, se si vuole guardare oltre la porta con la Mirror Gun bisogna interagire nel bordo più basso della porta, se invece si decide di sfondarla occorre interagire nel lato basso, per aprirla basterà puntare lo sguardo sulla parte ad altezza degli occhi, per socchiuderla lentamente occorre interagire sulla maniglia, per scassinarla nella serratura, ecc.

Mentre i momenti shooter sono pressoché simili come impostazione quanto tutti gli fps presenti sul mercato, il vero cuore dell’esperienza sta nel menu radiale che dà accesso agli ordini che si possono impartire ai membri della propria squadra, richiamandolo tenendo premuto il tasto RB. Da lì si aprono diversi menu e sottomenu che permettono di avere pieno controllo della squadra e su come gestire varie situazioni: affiancarsi alle porte, formazioni, irruzioni con flashbang o arieti, arrestare sospettati, ecc. All’inizio può sembrare macchinoso, ma dopo qualche partita sarà abbastanza facile destreggiarsi tra i vari menu e coordinare al meglio il proprio team con efficienza.
Sul versante tecnico, il gioco non fa di certo gridare al miracolo, motivato dal fatto che il suo sviluppo è stato plasmato attorno all’Unreal Engine 4 e dalla lunga fase in Early Access. Per quanto il team abbia migrato tutti i contenuti alla più recente versione di Unreal nell’ultimo anno, la genesi sul vecchio motore si vede eccome: il livello di dettaglio non eccelle mai, così come l’illuminazione per lo più baked (cioè statica e non in tempo reale), senza calcolare altri problemi di natura tecnica di cui parlerà in seguito. Il colpo d’occhio complessivo si difende bene, ma se si esaminano nel dettaglio i vari componenti grafici, emerge una certa carenza considerevole. Niente da criticare nelle animazioni dei personaggi non giocanti e nel senso di pesantezza realistico del giocatore, su cui si vede che il team ha speso notevoli risorse. Da premiare anche il level design di tutti gli scenari, studiato in maniera eccellente per permettere approcci diversi e percorsi alternativi nello stesso scenario. Il gioco presenta inoltre la possibilità di scegliere tra i setting video Fedeltà Grafica e Prestazioni. Nonostante la modalità Fedeltà Grafica migliori un po’ l’aspetto tecnico e grafico complessivo, soprattutto nell’illuminazione, consiglio di giocare tutto il gioco in modalità Prestazioni, che garantisce i 60 fotogrammi al secondo stabili. Un'esigenza necessaria per poter rispondere con reattività alle varie minacce ostili lungo le missioni.

Sul versante audio, il gioco comprende un’ottima campionatura sonora per armi e gadeget, oltre che un’ottima acustica ambientale. L’accompagnamento musicale è poco presente, ma infonde la giusta sensazione di angustia e insidia senza mai esagerare. Buoni anche gli esigui doppiaggi presenti, che si limitano ai vari NPC durante le missioni e a qualche personaggio collocato nella Stazione di Polizia, come Dottore e il Capo della Polizia. Il gioco è tradotto in italiano per quanto riguarda i testi e i sottotitoli, mentre l’audio è solo in inglese.


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