Recensione - Hotel Barcelona

Il Gioco
Pare che sia stato il buon Suda (a cui dobbiamo la serie No More Heroes, oltre ad altri titoli di culto come Shadows of the Damned e Lollipop Chainsaw) a proporre, ormai parecchi anni fa, al connazionale Swery di realizzare un gioco in collaborazione, ponendo le fondamenta di un progetto di cui poi l’autore di Deadly Premonition (ed altre chicche quali D4: Dark Dreams Don’t Die e Missing) ha preso in mano le redini, tant’è che Hotel Barcelona esce firmato dallo studio guidato da Swery, White Owls, e non dalla Grasshopper Manufacture di Suda.Il gioco si presenta narrativamente come un thriller poliziesco a tinte horror/sovrannaturali, allineandosi in questo a molti altri titoli realizzati in passato da Swery. Vestiamo i panni di Justine, una giovane Marshall federale incaricata di condurre uno spietato killer noto come “lo Sterminatore” presso l’Hotel Barcelona, situato nella catena montuosa degli Appalachi, al fine di scatenare la sua furia contro alcuni serial killer ospiti dell’albergo. Avete letto bene, e non posso certo darvi torto se questo incipit vi pare già alquanto sopra le righe, ma questo non è ancora niente! Justine infatti non solo cela una motivazione nascosta e personale per volersi recare in quel luogo, vendicarsi della morte del padre, ma soprattutto il suo corpo ospita anche una seconda personalità, quella del serial killer conosciuto come Dottor Carnival, la cui presenza è comunque collegata alla morte del padre di Justine. Le cose fin da subito non vanno secondo i piani e Justine si trova a doversi occupare in prima persona di “sistemare le cose” all’interno dell’Hotel Barcelona, facendo ovviamente affidamento sull’istinto omicida del suo alter-ego: uccidere i vari super-criminali presenti nella struttura (e circondario) è infatti un passaggio necessario per presentarsi al cospetto della Strega, deus-ex-machina dell’hotel e indicata dal Dottor Carnival come principale bersaglio della sua vendetta.
MX Video - Hotel Barcelona
Iniziano così le nostre scorribande nei dintorni dell’hotel, dato che ognuno dei criminali a cui dobbiamo dare la caccia (o meglio, possiamo: non è necessario eliminarli tutti per giungere ad uno dei finali del gioco) si presenta come il boss finale di una delle aree di cui si compone il gioco. Nelle sue fasi di gameplay Hotel Barcelona è strutturato come un classico side-scroller a due dimensioni (i comunicati ufficiali lo descrivono come un 2.5D, ma di norma nell’azione non ci si muove lungo la profondità dei livelli) in cui dobbiamo farci largo tra nugoli di nemici di ogni sorta usando le abilità di Justine e soprattutto le armi a sua disposizione. Ogni area è articolata in una matrice di livelli a ciascuno dei quali, a partire da quello iniziale, si accede raggiungendo una delle porte disseminate nel mondo di gioco: le ramificazioni dei percorsi possibili si allargano per poi restringersi nuovamente e condurre infine all’ultimo passaggio, che porta al livello in cui si svolge la boss fight conclusiva dell’area. Abbiamo quindi la possibilità di determinare il nostro percorso, valutando sia la posizione delle porte da raggiungere (alcune sono più vicine al punto di partenza, altre richiedono percorsi più lunghi e/o nascosti), sia soprattutto gli effetti associati a ciascuna scelta.
Ogni porta ci premia infatti con un “bonus” di diverso tipo e può essere quindi questo il criterio determinante da seguire: ad esempio, dato che il gioco non prevede alcun recupero automatico della salute (se non a livello Facile) qualora Justine sia seriamente ferita potrebbe diventare prioritario passare attraverso la porta che garantisce il recupero del 50% della salute, mentre in caso contrario si potrebbe invece puntare su porte che garantiscono miglioramenti alle nostre potenzialità offensive. Inoltre, ogni porta ci indica se nel livello a cui dà accesso si trova una delle “stanze speciali” previste dal gioco: nel Casino abbiamo la possibilità di “investire” monete per provare a potenziare o a re-rollare le caratteristiche delle nostre armi (con percentuali di successo che prima di aver sbloccato un apposito perk molto avanti nel gioco sono davvero scarse e abbastanza frustranti: avrei preferito giochi con un costo di accesso più alto, ma con maggiori possibilità di successo fin da subito), mentre in altri casi possiamo accedere ad un livello Bonus caratterizzato da fasi di platforming molto più esigenti del solito e che qualora portato a termine… beh, diciamo che vi consigliamo di impegnarvi per riuscirci, ne vale la pena. Tutti questi elementi vengono ridefiniti ogni volta, per cui ogni run in una certa area vi metterà di fronte a opzioni diverse e imprevedibili.

Un’esplorazione accurata è comunque sempre consigliabile, al di là dell’esigenza di individuare le porte con le quali proseguire il percorso. I livelli sono mediamente ben più articolati di quanto potrebbe sembrare, spesso estendendosi anche verticalmente (attraverso piattaforme o passaggi sotterranei) e per muoverci in questo contesto possiamo fare affidamento sul doppio salto di cui Justine è capace, nonché della sua abilità di prodursi in uno scatto repentino, anche a mezz’aria. Le abilità atletiche della protagonista ci consentono in teoria, specie nei primissimi livelli, di evitare gran parte degli scontri, portandoci rapidamente a distanza da nemici che, tranne qualche eccezione, non spiccano invece per dinamismo. Precisato che comunque la percorrenza di ogni livello è associata ad un timer che non ci consente di indugiare più di tanto, possiamo quindi scegliere se adottare un approccio più da “speed run” oppure se dedicarci a ripulire accuratamente i livelli. Impegnandosi nei combattimenti si viene premiati dalla possibilità di raccogliere materiali dai nemici abbattuti (a dirla tutta, in realtà componenti anatomiche, come ossa, denti e orecchie) da utilizzare per potenziare le proprie abilità ed acquistare nuove armi, ma soprattutto si fa crescere il misuratore del sangue raccolto con le nostre azioni: una volta colmato è possibile svuotarlo, scatenando la furia omicida del Dottor Carnival in una “mossa speciale” spettacolare e splatterosa, che varia in funzione dell’arma equipaggiata. Attenzione però ad evitare ogni contatto con l’acqua, dato che ciò comporta l’azzeramento del livello raggiunto!
Le boss fight sono di impostazione abbastanza classica, ponendoci al cospetto di un imponente avversario in grado di scatenare su Justine/Carnival terrificanti punizioni. I boss vanno quindi studiati nel loro move-set, ma in definitiva non sono difficili da “leggere” e ricadono in tipologie ben note. In queste fight diventa spesso decisivo l’uso della schivata per sfuggire all’ira del boss di turno, ma naturalmente la facilità o difficoltà dello scontro dipende soprattutto dal livello dei potenziamenti di cui disponete quando affrontate il confronto.

Il gameplay loop di Hotel Barcelona è infatti quello di un classico roguelite. Questo significa che va messo in conto di fallire spesso e volentieri, anzi il gioco è concepito per farvi quasi obbligatoriamente fallire nei vostri primi tentativi, che però non vanno del tutto sprecati, in quanto vi permettono di raccogliere risorse da investire per affrontare il tentativo successivo con una dotazione migliore, rendendovi le cose un po’ più facili. Tra una run e l’altra potete infatti interagire con vari personaggi presenti in hotel e sbloccare nuove abilità/potenziamenti (e per farlo bisogna rivolgersi ad un proverbiale “mostro” che si nasconde nell’armadio della camera di Justine!), comprare nuove armi e, contrattando con il barman, barattare le orecchie raccolte durante le nostre missioni con risorse di altro tipo, o ancor meglio con gettoni da usare per attivare perk speciali in partita o biglietti di re-ingresso da spendere per poter essere ammessi ad affrontare nuovamente un boss in caso di nostra uccisione, senza dover nuovamente ripercorrere l’intera area.
L’albero delle abilità è decisamente articolato e lo si può pensare come suddiviso in due aree principali: una dedicata a sbloccare nuove mosse di combattimento (ogni tipologia di arma è presente con un suo “ramo” specializzato) e ad incrementare l’efficacia delle armi stesse, l’altra invece rivolta a potenziare Justine, aumentando il livello massimo della sua vita, ridurre il costo in stamina di schivate e parate, facilitare il raggiungimento della soglia che consente di attivare l’abilità speciale del Dottor Carnival, e altro ancora. Le richieste in termini di risorse crescono rapidamente e la situazione è resa ancora più complicata dal fatto che all’inizio di una nuova run le risorse raccolte in quella precedente vengono perdute (solo abbastanza avanti nel gioco arriva la possibilità di accantonarne una – piccola – parte), per cui se non si riesce a raggiungere quanto richiesto per sbloccare qualcuno dei nodi dell’albero, le risorse raccolte vanno in sostanza sprecate. Inoltre, ben presto tra i requisiti richiesti per lo sblocco inizia a comparire anche quello di essere in possesso di uno o più cuori dei boss da sconfiggere: in questo modo viene posto un limite alla possibilità di “farmare” per arrivare a sbloccare integralmente le abilità magari ancor prima di avere affrontato il primo boss del gioco. Per quanto riguarda le armi, Justine dispone di un’arma da taglio, quella di utilizzo principale, e anche di un’arma da fuoco. E’ possibile acquistare vari modelli che ricadono all’interno di una manciata di diverse tipologie: ad esempio coltelli, asce, lame rotanti per le armi da taglio, pistole, fucili a pompa e... lanciafiamme per le armi da fuoco. Ciascuna tipologia è caratterizzata da un moveset specifico, quindi per sfruttare le combo più articolate è necessario memorizzare le varie mosse, dopo ovviamente averle sbloccate nello skill tree: nulla di troppo elaborato, ma quanto basta per far sì che ogni tipologia di arma presenti una sua curva di apprendimento, anche per individuare i contesti in cui risulta più efficace (determinati boss sono un po’ più abbordabili se affrontati con un’arma di un certo tipo).

Nella rassegna del “potenziale offensivo” messo a nostra disposizione, un posto di rilievo va dato all’unica meccanica effettivamente inedita ed innovativa presente in Hotel Barcelona, quella dei “fantasmi” delle precedenti run (tre, al massimo) che ci accompagnano durante il gioco. Si tratta di una meccanica interessante, in quanto va a costituire un ulteriore tassello nel meccanismo da roguelite del gioco: non solo ad ogni run siamo più esperti e meglio equipaggiati, ma possiamo anche contare su quanto fatto nelle nostre run precedenti. Certo, non è affatto come giocare in cooperativa con altri tre giocatori (a proposito: si può, ma purtroppo non è stato possibile organizzare sessioni prima dell’uscita del gioco, quindi sul punto il giudizio rimane sospeso, ma senz’altro è una feature potenzialmente molto interessante) in quanto i “fantasmi” replicano esattamente il comportamento che ebbero nella loro run d’origine e non è affatto detto che i nemici si trovino nello stesso posto anche in quella successiva... non a caso i fantasmi sono realmente utilissimi soltanto nelle boss-fight, dove il posizionamento dell’avversario è decisamente più costante. Inoltre, non è affatto detto che nella run si scelga lo stesso percorso e bisogna tenerne conto, perché ovviamente il fantasma non ci segue, bensì continua lungo quello che fu il suo, di percorso: si introduce così un elemento in più di valutazione strategica... magari ci farebbe gola quel certo potenziamento, ma preferiamo seguire il fantasma in un’altra porta, oppure al contrario abbiamo così disperatamente bisogno di cure che siamo disposti a rinunciare alla compagnia del nostro alleato.
Va detto che, al netto delle meccaniche da roguelite, Hotel Barcelona non è affatto un gioco facile e un qualche ritocco alla calibrazione ci potrebbe stare, specie agli inizi dove l’esperienza può risultare spiacevolmente punitiva. In caso di frustrazioni eccessive, il livello di difficoltà Facile offre un’esperienza ragionevole anche per i neofiti, pur non essendo affatto il classico settaggio del tipo “mi godo la storia senza pensieri”: si deve giocare con attenzione e impegno anche a Facile, altrimenti si muore comunque, spesso addirittura prima di arrivare al boss. Quanto agli altri livelli disponibili, Normale è chiaramente l’esperienza di gioco originaria immaginata da Swery e Suda, mentre le due successive sono funzionali a mantenere il livello di sfida anche con protagonisti molto o completamente livellati.

La difficoltà percepita del gioco dipende anche da una implementazione non di rado approssimativa, con controlli che danno la sensazione di non rispondere spesso con la dovuta prontezza e una gestione delle hit-box tutt’altro che sofisticata (ad esempio i danni si propagano oltre le pareti e i muri, basta che vi troviate nel raggio del danno d’area previsto). In parte si tratta anche di imparare a conoscere il gioco e adattarsi alle sue logiche, piuttosto che incaponirsi a volerne sfidare i chiari limiti tecnici. D’altronde il curriculum dei due game designer giapponesi è zeppo di progetti in cui palesemente si è più guardato all’aspetto artistico ed emozionale che a quello tecnico e tutto sommato sarebbe illusorio attendersi un drastico cambio di rotta da questo Hotel Barcelona.
Ed in effetti, dal punto di vista creativo ed artistico, Hotel Barcelona fa centro, pur evidentemente non potendo contare su un comparto grafico da titolo tripla-A (il gioco è mosso, con esiti non esaltanti ma direi più che accettabili, dall’engine Unity). I rimandi all’immaginario horror cinematografico sono onnipresenti, a cominciare proprio da un setting che non può non portare alla mente l’Overlook Hotel di kubrikiana memoria, per arrivare alla stilizzazione dei vari boss, a loro volta delineati prendendo a piene mani dall’immaginario horror-pop americano dei decenni passati. Ma sono soprattutto i dettagli, i piccoli tocchi, i rimandi a certi “classici” dell’immaginario creato nel tempo dai due designer (ad esempio la fascinazione per gli scheletri, come di fatto è rappresentato Dottor Carnival), i tanti elementi che danno un apprezzabile senso di continuità e che fanno sì che Hotel Barcelona riesca a collocarsi con totale naturalezza nel curriculum artistico di Swery e Suda51: un nuovo passo, forse non del tutto centrato ma assolutamente coerente, in un percorso creativo di tutto rispetto.



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