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Don King Presents: Prizefighter
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Recensione - Don King Presents: PrizefighterXbox 360Game

Muhammed Ali, Mike Tyson, Evander Holifield, Oscar de la Hoya, Cesar Chavez... grandissimi campioni, vere leggende del ring, divenute tali oltre che per le loro indubbie e straordinarie doti atletiche anche grazie al contributo di un uomo altrettanto leggendario: Mr. Don King. Nonostante i suoi trascorsi sicuramente non limpidi che lo videro in gioventù guadagnarsi il pane come allibratore illegale a Cleveland, King riuscì grazie ad un grande fiuto per gli affari ed a un carisma davvero inarrivabile, a diventare il manager pugilistico più famoso della storia della boxe ed a organizzare alcuni degli incontri più spettacolari di sempre.

Andiamo ora a scoprire se il leggendario manager sia riuscito a creare un ulteriore successo, stavolta nel mondo videoludico, legando il proprio nome a Prizefighter, nuovo titolo boxistico targato Take 2.

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Atleti al centro: ready... fight!
Il primo approccio con il menu principale del gioco non lascia certamente spiazzati: le modalità di gioco disponibili sono poche e ben riconoscibili anche dal più inesperto giocatore. Potremo cimentarci in incontri singoli contro la cpu o contro un amico sulla stessa console, potremmo decidere di sfidare qualche giocatore sul Live, oppure buttarci a capofitto nell’immancabile modalità carriera: nulla di nuovo sotto il sole insomma.

Le prime due modalità si spiegano da sole, non è il caso di soffermarsi su di esse: analizziamo invece più attentamente la modalità carriera, attraverso la quale vestiremo i panni di un giovane e talentuoso fighter in cerca di gloria. Il primo, in tale modalità, sarà quello di creare il proprio atleta utilizzando come base di partenza uno di quelli già presenti in archivio, oppure modellarlo da zero e definirne ogni caratteristica; lo strumento di creazione dei personaggi appare piuttosto efficace e ben fatto e permette una personalizzazione capillare di ogni aspetto del nostro pugile: sporgenza del naso, colore dei capelli, lunghezza dei pantaloncini, sono solamente alcuni dei particolari modificabili del giocatore. Ad onor del vero va però detto che per quanto ben articolato, l'editor di personaggi non aggiunge nulla di nuovo a quanto visto in altri numerosi picchiaduro, e di certo non segna nuovi standard in termini di profondità.

Conclusa questa prima fondamentale operazione, la carriera vera e propria può prendere il via. E’ finalmente ora di allacciare i guantoni! Dopo un primo semplice match (che funge anche da tutorial per apprendere i comandi di gioco) disputato nella nostra palestra contro uno sprovveduto novellino, le cose cominciano a farsi serie e il nostro manager comincerà a proporci qualche contratto interessante. Di volta in volta ci verranno proposti una serie di combattenti con i quali misurarci, ognuno con caratteristiche e abilità differenti e, conseguentemente, con “borse” che variano molto dall’uno all’altro: naturalmente i picchiatori più esperti pagano molto di più in termine di budget, ma affrontarli senza la dovuta preparazione ed esperienza rischia di rivelarsi assai pericoloso. Meglio cominciare dal basso, affrontando dapprima i “pesci piccoli” in modo da guadagnare sufficiente esperienza e nel contempo impegnarsi in sessioni di allenamento mirate all’aumento delle nostre caratteristiche di base.

Prima di ogni match ci viene infatti offerta la possibilità di partecipare ad un determinato numero d’allenamenti, grazie ai quali potremo aumentare, ad esempio, la nostra velocità, la precisione, la resistenza, la forza e così via. Queste sessioni consistono in una serie di minigiochi durante i quali risulterà fondamentale il tempismo in qui verranno premuti determinati tasti del gamepad: nel salto della corda è ad esempio richiesta una pressione ritmica di combinazioni di tasti che verranno mano a mano visualizzate su schermo. Se riusciremo a premere i tasti correttamente, il nostro pugile salterà la corda in maniera sempre più veloce; se diversamente sbaglieremo la pressione di un tasto o andremo fuori ritmo, inciamperemo e saremo costretti a ricominciare tutto da capo. Ovviamente maggiore sarà il punteggio totalizzato in queste fasi, maggiori saranno i punti di incremento nell’abilità specifica. Questi minigiochi sono in tutto cinque, ma essenzialmente le differenze tra di loro sono davvero minime. Il nostro compito principale rimane solo e sempre quello di eseguire delle combinazioni di tasti con il maggior tempismo possibile: che poi in termini visivi questo si traduca nel vedere un pugile saltare velocemente una corda o percuotere rapidamente un punchball ha pochissimo valore in termini di divertimento di fondo e di varietà di situazioni.

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L’evolversi della carriera viene raccontata attraverso una serie di filmati ai quali, oltre ovviamente a King, prendono parte anche alcune vecchie glorie della boxe e personaggi dello spettacolo, primo tra tutti il mitico Joe Frazier. Lo stile documentaristico di tali intermezzi risulta piuttosto interessante in prima battuta, ma alla lunga sorbirsi interminabili dialoghi (rigorosamente in inglese) dove personaggi semi-sconosciuti ai più dibattono sulle nostre qualità e sul fatto che il mondo si trovi davanti ad una delle più promettenti stelle della boxe, diventa più difficile che incassare un montante al fegato!


Colpi proibiti
Bene, il contorno di questa produzione non sembra realizzato al meglio e l’inizio di questo articolo non sembra molto incoraggiante. Siamo però di fronte ad un titolo sportivo, e quindi se la meccanica di gioco una volta saliti sul ring funziona, beh possiamo certamente sorvolare sul resto, no?

Purtroppo, neanche a dirlo, non è affatto così. Appare infatti chiarissimo sin dal primo istante di gioco quanta poca cura sia stata profusa per confezionare Don King Presents: Prizefighter. Per cominciare le animazioni dei personaggi sono affette da una evidente mancanza di fluidità, che fa apparire i pugili decisamente legnosi e poco naturali, rendendo i loro spostamenti sul quadrato decisamente poco appaganti dal punto di vista visivo. Stesso discorso può essere fatto per le combinazioni di colpi che riusciremo a produrre, alcune delle quali sicuramente improbabili: chiunque abbia un minimo di conoscenza in materia boxistica, sa perfettamente che il cross (o diretto) è un colpo per sua stessa natura più potente di un jab (che di solito viene usato molto per “disturbare” l’avversario) e che di conseguenza richiede un tempo più lungo per essere eseguito. Impensabile quindi pensare di “doppiare” un cross con la stessa velocità di un jab, eppure è proprio una delle paradossali situazioni in cui ci si imbatte giocando a Prizefighter e che lasciano francamente basiti. Pensare di trovare delle differenze sostanziali tra un pugile mancino o destrorso è ipotesi risibile: non c’è praticamente alcuna differenza tra la potenza di uno dei due arti, sia in termin di velocità che di danno generato, con conseguente perdita di significato di una tale distinzione. Concludiamo il quadro che riguarda gli attacchi dicendo che quando questi giungono a bersaglio danno la netta sensazione di essere privi di peso e non trasmettono di conseguenza la necessaria sensazione di impatto.

Altro fattore che mina pesantemente il gameplay, rendendolo terribilmente frustrante, è costituito dall’ estrema rapidità con cui è possibile atterrare un rivale: tralasciando gli attacchi speciali, che meritano un discorso a parte, non ci sembra francamente plausibile che un pugile finisca al tappeto per tre volte di seguito alla prima ripresa contro un avversario di pari livello, o che si giunga alla fine di un match con un attivo di otto\nove knockout.

Dubbi, come accennavo, anche sulla gestione della cosiddetta “barra dell’adrenalina” che gestisce gli attacchi speciali: oltre alle due classiche barre rispettivamente incaricate di indicare energia residua e resistenza, sull’interfaccia di gioco trova spazio anche questo terzo indicatore. Sostanzialmente questa barra cresce gradualmente durante l’incontro in base ai colpi che vanno a segno e, una volta piena, consente al pugile di prodursi in una devastante e velocissima serie di colpi che culmina quasi sempre con l’atterramento dell’avversario. Abbiamo trovato questa feature un po’ troppo arcade per un gioco che si proponeva di simulare la noble-art. D’altro canto è vero anche che questo è forse il più piccolo dei difetti sottolineabili in questo davvero deludente prodotto.


Pugni negli occhi
Ed arriviamo alla grafica di Don King Presents: Prizefighter. “Anche l' occhio vuole la sua parte” recita un famoso proverbio, ma a chi si rivolgesse in questa sede per trovare tecnicismi e sontuosità grafiche non possiamo che rispondere con “Non c’è trippa per gatti!”.

Purtroppo anche dal punto di vista prettamente tecnico, c’è poco da salvare in Pricefighter, che con le sue pessime texture sui personaggi, le sue ambientazioni scarne e dall’aspetto sin troppo fittizio e le già ampiamente descritte animazioni, potremme aspirare alla palma d’oro per la peggior veste grafica della next-gen nella nostra classifica.

L’unica nota positiva, letteralmente, arriva dalla colonna sonora che comprende una buona varietà di pezzi molto ispirati e che allevia in parte la sofferenza provata durante le sessioni di gioco. La presenza della traccia “Eye of the Tigher” (si, proprio quella della colonna sonora di Rocky) poi ci persuade a concedere la sufficienza almeno in questo reparto del gioco.

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Gettiamo la spugna
Brutto a vedersi, poco profondo nel gameplay, noioso nell’evolversi della trama: la guardia di Don King Presents: Prizefighter presenta grossissime lacune e incassa duro in ogni comparto finendo alle corde con le ossa rotte in attesa del colpo del ko; davvero difficile trovare un solo valido motivo per provare a giocarci, masochismo a parte, ovviamente.
4.8

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