Recensione - Project Zero: Maiden of Black Water
di
Mirko Rossi / Thor
P

Il Gioco
MX Video - Project Zero: Maiden of Black Water
Sono queste le premesse narrative dalle quali prende il via Project Zero: Maiden of Black Water, la versione rimasterizzata dell’ultimo capitolo della saga horror di Koei Tecmo. Pad alla mano il gioco si presenta come un classico survival horror in terza persona, nel quale il giocatore deve esplorare livelli abbastanza lineari e raccogliere consumabili, oggetti chiave o documenti utili per approfondire le vicende e, non ultimo, affrontare le pericolose creature che infestano il Monte Hikami. A differenziare il titolo dalla concorrenza ci pensano però alcuni elementi di gameplay estremamente peculiari, prima su tutte la Camera Obscura. Quest’ultima non è altro che una particolare macchina fotografica capace di assorbire le energie degli spiriti che infestano le varie aree. Di fatto, la Camera Obscura rappresenta l’unico strumento difensivo a disposizione dei protagonisti e, in effetti, il suo funzionamento non si discosta tanto da quello di una comune arma da fuoco.
Quando si impugna la macchina fotografica, la visuale passa alla prima persona ed è necessario fotografare gli avversari per danneggiarli, ruotando se necessario la posizione dell’otturatore per massimizzare gli effetti sul bersaglio. Una volta colpiti, i nemici rilasciano infatti delle sfere di energia che diventano a loro volta dei bersagli, e inquadrando almeno 5 sfere contemporaneamente si può mettere a segno un colpo speciale, che nella maggior parte delle occasioni permette anche di respingere l’avversario. Colpendo ripetutamente gli avversari si ottiene poi la possibilità di mettere a segno un attacco devastante, il cosiddetto “Fatal Frame” che dà il nome alla saga, capace di mettere fine una volta per tutte allo scontro.

Gli spiriti non rimangono però inermi a fare da bersaglio. Oltre ad attaccare in numero via via sempre più numeroso, cercano infatti di accerchiare il giocatore, di spaventarlo e di sorprenderlo alle spalle, così da infliggere uno o più colpi capaci di ridurre la sua sanità mentale, che rappresenta poi la “salute” dei vari protagonisti. Questi colpi possono ovviamente essere evitati o, se si riesce a scattare una foto nel momento giusto, parati, così come è possibile recuperare e equipaggiare varie tipologie di rullini e obiettivi differenti che garantiscono maggiore efficacia e/o bonus aggiuntivi. Tra i consumabili trovano spazio anche alcune cure, che permettono di ripristinare la sanità mentale o di annullare/rallentare gli effetti dannosi dell’acqua, sia quella piovana sia quella presente praticamente ovunque nel gioco, sui protagonisti. Tutti questi oggetti possono essere sia recuperati durante l’esplorazione sia acquistati prima di iniziare una missione spendendo le monete raccolte fino a quel momento.

Il menu di selezione delle missioni consente inoltre di rigiocare i vari livelli, così da raccogliere gli eventuali collezionabili mancanti, modificare la difficoltà o provare a ottenere un punteggio migliore grazie a un tempo di completamento inferiore e/o performance migliori in “combattimento”. Project Zero: Maiden of Black Water, come da tradizione del genere, non può inoltre esimersi dal proporre degli enigmi ambientali, spesso collegati al dover trovare specifici oggetti o chiavi per proseguire. Anche in questo caso il vero elemento distintivo è legato alla Camera Obscura, che in alcune specifiche situazioni può essere utilizzata anche per individuare eventuali presenze non ostili, indizi o oggetti non visibili a occhio nudo. Il gioco include poi una modalità foto, che permette di immortalare i momenti più pittoreschi modificando alcune impostazioni e applicando dei filtri, e una selezione di costumi alternativi per i vari protagonisti, che possono essere gestiti sempre dal menu pre-missione.

Dal punto di vista tecnico, Project Zero: Maiden of Black Water si presenta come una remastered abbastanza basilare. Il motore grafico è lo stesso utilizzato nel 2015, ottimizzato in questa occasione per raggiungere la massima risoluzione disponibile sulla piattaforma di riferimento a 60fps. Le uniche novità degne di nota riguardano i modelli poligonali, che hanno beneficiato di un processo di “pulizia” abbastanza evidente rispetto alla versione originale, e i tempi di caricamento, praticamente inesistenti sulle piattaforme di ultima generazione. Il comparto audio propone una colonna sonora originale di buona qualità e la possibilità di scegliere tra il doppiaggio originale in giapponese o quello in lingua inglese. Brutte notizie invece per quanto riguarda la localizzazione in lingua italiana, completamente assente anche in questa edizione rimasterizzata.
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