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The Last Case of Benedict Fox

Recensione - The Last Case of Benedict FoxXbox Series X | S Xbox One DigitalGame

Atteso con trepidazione da tutti i fan del genere metroidvania, The Last Case of Benedict Fox, opera prima dello Studio polacco Plot Twist, è finalmente arrivato sulle nostre Xbox e sin da subito in Xbox Game Pass. Scopriamo insieme pregi e difetti di questo suggestivo platformer!
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Il Gioco

Il mistero è uno degli elementi fondanti di The Last Case of Benedict Fox e lo si capisce fin da subito, visto che il gioco, senza troppi preamboli, ci inserisce nel vivo dell’azione, lasciandoci soltanto intuire alcuni contorni della vicenda che ci troviamo a vivere. La cinematica introduttiva ci fa vedere Benedict, un investigatore privato del tutto sui generis (a noi italiani potrebbe ricordare sotto alcuni aspetti il celebre Dylan Dog), intrufolarsi in un appartamento parigino per appropriarsi di un dossier dedicato al padre, grazie al quale riesce ad apprendere che il genitore vive a Boston. Il dossier appartiene all’organizzazione Ordo Ira Dei, istituita con l’intento di porre un freno alle sperimentazioni esoteriche del “Primo Girone”, una sorta di loggia massonica occultista di cui Fox padre è membro. Dopo una rocambolesca fuga sui tetti, che funge anche da tutorial per le mosse di gioco basilari, ci ritroviamo quindi in Massachusetts, con Benedict che fa il suo ingresso titubante nella lussuosa, ma inquietante magione del padre.

MX Video - The Last Case of Benedict Fox

Basta una sommaria esplorazione della villa per farci imbattere nel cadavere di nostro padre, palesemente morto di morte violenta, ma senza che sia possibile ricostruire l’accaduto. Cosa è capitato? Chi lo ha ucciso? Per fare luce sulla vicenda e sui suoi collegamenti con un oscuro Rituale, Benedict fa ricorso ai poteri del suo Compagno, un “demone” (in mancanza di definizioni migliori) con cui vive in una simbiosi in qualche modo derivante da esperimenti esoterici condotti dal padre e dalla sua cerchia di cultori dell’occulto. Il Compagno non solo può venire in aiuto di Benedict utilizzando i suoi tentacoli, ma è anche in grado di creare una connessione con il corpo del defunto e di proiettare Benedict all’interno del Limbo, una sorta di dimensione parallela dove prendono sostanza i ricordi, pensieri e ossessioni dei rispettivi titolari: senza svelare altro, diciamo che quello del padre, non sarà l’unico Limbo che Benedict si troverà a visitare.

Il Limbo è un luogo labirintico, decisamente molto più esteso di quanto possa apparire a prima vista, per la cui esplorazione è fondamentale sfruttare i Punti di Ancoraggio, che connettono il Limbo con il piano della realtà. Ogni Ancora viene attivata nel momento in cui riusciamo a raggiungerla e a debellare le creature eventualmente poste a guardia di essa. Da quel momento è possibile utilizzarla non solo per uscire dal Limbo e tornare nella villa, ma anche per spostarsi istantaneamente tra le Ancore attive, nonché per effettuare un’operazione fondamentale: depositare l’Inchiostro raccolto.

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Si tratta inoltre di un luogo infestato da creature ostili, incubi partoriti dalla mente che Fox si trova ad esplorare: uccidere (per la prima volta) tali creature permette di raccoglierne l’Inchiostro, una sorta di ambra intrisa di materia demoniaca e dotata di notevoli poteri. Con una meccanica da classico souls-like, l’Inchiostro viene lasciato sul terreno in caso di morte prematura ed è necessario tornare a recuperarlo: qualora capitasse di morire un’altra volta prima di averlo recuperato, l’Inchiostro viene perduto e ritorna in “dotazione” ai mostri a cui apparteneva.

I Frammenti sono l’altra risorsa importante di cui possiamo impossessarci, questa volta non uccidendo nemici bensì raccogliendo oggetti e risolvendo misteri. I collezionabili sono davvero molti, è di certo ben trovato il titolo “Il primo di molti” dell’obiettivo che viene sbloccato raccogliendo il primo oggetto collezionabile, dato che il Limbo è letteralmente disseminato di oggetti da raccogliere, più o meno nascosti. Alcuni hanno un ruolo cardine nello sviluppo della vicenda, altri sono meri collezionabili che forniscono però sempre indicazioni utili per comprendere meglio il contesto della vicenda. I Frammenti raccolti entrano permanentemente in nostro possesso: anche quando si finisce vittima delle creature ostili che abitano il Limbo, essi rimangono nelle nostre tasche.

Con espedienti narrativi che non serve svelare, il gioco introduce progressivamente alcuni NPC che non solo contribuiscono ad espandere la narrazione, ma soprattutto fungono da particolarissimi “negozianti” presso i quali possiamo servirci per potenziare le nostre abilità e dotazioni, utilizzando le risorse raccolte. L’amico Harry (il grande illusionista Houdini!) è pronto a venderci slot per pozioni rigeneranti, nonché amuleti che ci garantiscono invulnerabilità o invisibilità momentanea (inoltre, quando avremo ottenuto la torcia elettrica, ci offrirà anche utilissimi potenziamenti per essa), in cambio di una certa quantità di Frammenti. La misteriosa Tatuatrice è invece in grado di piegare l’Inchiostro ai suoi voleri e possiamo affidarle l’Inchiostro raccolto, che userà per creare tatuaggi corrispondenti ad altrettante abilità che vanno ad arricchire il set di mosse di Benedict. Nelle cantine della villa prende poi posto un Fabbro che, in cambio di Frammenti e di alcuni specifici oggetti, provvede a migliorare sotto diversi aspetti le nostre armi (Fox può fare affidamento sul proprio coltello e su una pistola che si ricarica a seguito di fendenti portati a segno) e gadget.

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L’interazione con questi personaggi è fondamentale, dato che la possibilità di arrivare in determinate zone del Limbo (e di conseguenza a determinati oggetti e snodi narrativi) dipende dall’avere o meno a disposizione uno o più dei vari potenziamenti possibili. In particolare, il primo momento di grande “apertura” del gioco lo si vive quando si riesce a consegnare al Fabbro tutto il necessario per rendere pienamente funzionante il Conundrum, un particolare dispositivo mediante il quale prende quota la componente del gioco dedicata al puzzle-solving. Quest’oggetto contiene un meccanismo di cifratura e decrittazione, basato su un (reale) sistema di codifica risalente ai monaci cistercensi, che consente di rappresentare con un unico simbolo grafico i numeri fino a quattro cifre. Il sistema viene sfruttato dal gioco in numerosi contesti: può servire per aprire delle porte, oppure casseforti trovate in accampamenti nemici (eh si, perchè nel Limbo si trovano non soltanto “demoni”, ma anche Agenti della Ordo Ira Dei, inviati dal nostro arci-rivale, l’Inquisitore, con lo scopo di fermare Benedict e impadronirsi delle conoscenze sul Rituale da lui acquisite), o ancora per attivare misteriose Fratture, capaci di donare a Benedict particolari abilità.

Non è questo l’unico tipo di ostacolo che condiziona la possibilità di Benedict di muoversi liberamente nel Limbo: ci sono infatti porte di varie tipologie, alcune si aprono posizionando opportunamente carte dei Tarocchi che è possibile trovare nel mondo di gioco, altre richiedono di avere a disposizione determinati oggetti (rimaniamo volutamente nel vago...) ed infine sezioni avvolte dall’oscurità che è possibile esplorare soltanto una volta entrati in possesso della torcia elettrica. The Last Case of Benedict Fox ci porta quindi ad esplorare ed attraversare ripetutamente l’ambiente di gioco, dando ampia opportunità alle magnifiche ambientazioni di fare la dovuta presa. Il motore Unity gioca in casa quando si tratta di platformer 2D ed in effetti gli scenari che si possono contemplare nel gioco, con le loro forme smussate e le variegate palette di colori pastello, rivelano immediatamente l’engine su cui si poggia il gioco. Dal punto di vista delle performance, c’è senz’altro spazio per un lavoro di ottimizzazione, ma il ritmo compassato del gioco rende tollerabili gli occasionali inciampi del frame-rate, che si verificano in realtà solo quando avvengono spostamenti assai bruschi, ad esempio quando si precipita per parecchi metri da una piattaforma in posizione elevata. E’ possibile optare per una modalità grafica Performance, ma personalmente ho preferito la modalità Qualità: il guadagno in termini di frame non mi è parso evidente ed appunto le meccaniche di gioco non inducono a desiderare una fluidità maggiore di quella percepita giocando a pieno dettaglio.

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L’esperienza di gioco che deriva da tutto ciò è decisamente coinvolgente, ci si trova di continuo stuzzicati dal desiderio di accedere ad una zona fino a quel momento preclusa, o di tornare a ragionare su quel certo enigma che non s’è ancora riusciti a decifrare. Sicuramente The Last Case of Benedict Fox richiede una certa dose di pazienza e di determinazione, ma sa anche ripagare con un gameplay che si arricchisce costantemente di nuove meccaniche e soprattutto con la gratificante sensazione di riuscire ad avvicinarsi, oggetto dopo oggetto ed indizio dopo indizio, al cuore del mistero, svelando via via la intricata rete di rapporti che ruotano intorno al protagonista e al suo passato. Va però anche rilevato che la trama non riesce a fare il decisivo salto di qualità: pur muovendo da premesse ricche di potenzialità (chi non è intrigato da misteri legati a misteriose congreghe occultiste e da esplorazioni del subconscio?) e sviluppandosi seguendo una sceneggiatura priva di clamorosi passi falsi, non riesce ad instaurare quella forte empatia emotiva che altri titoli simili, ad esempio i due Ori, hanno saputo raggiungere.

Per quanto riguarda la longevità del gioco, The Last Case of Benedict Fox per sua natura esaurisce gran parte della propria attrattiva una volta conclusa la prima run e portato a conclusione il caso del titolo (conclusione vera? Mi permetto di consigliarvi di lasciar scorrere fino in fondo i titoli di coda...). E’ possibile eventualmente cimentarsi con un secondo playthrough innalzando il livello di sfida, approfittando delle apposite opzioni: ad esempio, è possibile rendere più impegnativi gli scontri ed inoltre anche attivare l’opzione per la quale basta un solo colpo per causare la morte di Benedict. D’altra parte, è un gioco che andrebbe affrontato con la giusta calma: soffermandosi sulle magnifiche ambientazioni (che meritano tutta la nostra attenzione) e prendendosi il dovuto tempo per cimentarsi con gli enigmi, senza magari affrettarsi a recuperare immediatamente la soluzione da qualche parte. Un playthrough che vada a cogliere tutto quanto il gioco ha da offrire, in termini di quest secondarie, zone esplorabili e collezionabili può tenervi impegnati per non meno di 15 ore.

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Amore

Ehllamiseria, che mappa!

- Più e più volte mi sono trovato a supporre di essere giunto ai confini dell’ambiente di gioco, salvo venire regolarmente smentito da un piccolo varco che si rivela essere invece la “porta di ingresso” per un’intera nuova sezione da esplorare. Arrivati alla fine, la contemplazione della mappa di gioco (parziale, perché abbastanza inspiegabilmente il gioco non consente di zoomare all’indietro a sufficienza per ottenere una visione completa) lascia piacevolmente sorpresi, per quanto sia articolata ed estesa rispetto alle aspettative. E non è un mera questione di quantità: per varietà delle ambientazioni e cura dei dettagli, il mondo di gioco di The Last Case of Benedict Fox è una costante fonte di meraviglia.

Enigmi che si ama odiare

- Ho davvero apprezzato la componente legata alla risoluzione di puzzle ed enigmi, componente che senza dubbio contribuisce a distanziare The Last Case of Benedict Fox da altri platformer/metroidvania di simile impianto. Gli enigmi proposti, con la loro varietà ed ingegnosità, sono il sale che dà vero sapore a quest’avventura e consentono a The Last Case of Benedict Fox di proporre un backtracking più stimolante rispetto al semplice “aspetta di avere sbloccato l’oggetto X per entrare qui”. Oltre alla componente di gameplay, gli enigmi accrescono di molto il fascino dell’ambientazione, rafforzano il clima misterico e sono funzionali al meccanismo di una lore non spiegata, ma mano a mano “rivelata”... un po’ in stile From Software. Non è da escludere che ci si possa trovare in difficoltà anche seria di fronte ad alcuni di essi, ma (opzioni di accessibilità a parte) non possiamo ignorare di vivere nell’epoca dell’informazione condivisa: se proprio vi trovate bloccati davanti ad un pianoforte o non riuscite a capire quale combinazione del Dispositivo sia richiesta in un dato punto, troverete sicuramente qualche risorsa online pronta a venire in vostro aiuto!

Una gioia per i sensi

- C’è una ragione se in Rete fioccano numerose le fan-art dedicate a Benedict, al suo Compagno e a tutto il cast di comprimari del gioco. E c’è una ragione se The Last Case of Benedict Fox fin dalla sua presentazione ha guadagnato grande attenzione, più dei tanti titoli analoghi proposti al mercato. Il merito è di un comparto artistico davvero superlativo: originale senza risultare pretenzioso, ricco di dettagli pur usando con parsimonia i poligoni, lo stile artistico adottato ha dato vita ad un mondo davvero affascinante, bello da guardare anche quando mostra situazioni disturbanti o mostri raccapriccianti. Si dimostra non da meno anche il comparto audio: forse un po’ scarno nell’accompagnamento musicale, The Last Case of Benedict Fox si difende assai bene anche a livello di sound design, con effetti precisi, evocativi ed inquietanti il giusto. In un gioco in realtà sostanzialmente “muto”, impossibile poi evitare una menzione speciale: un po’ Coscienza di Disco Elysium, un po’ Venom di Tom Hardy, la voce del Compagno, carismatica e carica di effetti, si fa certamente ricordare!

A ciascuno il suo gioco!

- Siete affascinanti dall’esplorazione del mondo di gioco e gli scontri con le diaboliche creature rappresentano per voi solo un frustrante intoppo? O, al contrario, non avete problemi a farvi rispettare nelle vostre scorribande nel Limbo, ma vivete come un supplizio tutti gli enigmi che vi chiedono di convertire cifre in simboli arcani, e viceversa? Nessun problema, Plot Twist ha pensato a tutti, predisponendo numerose opzioni di accessibilità che consentono di rimuovere dall’equazione la tipologia di sfida che risulta indigesta. Si sarebbe potuto fare addirittura meglio, in quanto alcune opzioni risultano addirittura fin troppo drastiche, finendo per svilire l’esperienza (ad esempio: forse meglio un sistema di suggerimenti, che non uno di auto-risoluzione degli enigmi), ma nondimeno va lodata la cura dello sviluppatore nell’evitare che uno o più degli aspetti peculiari del gioco potessero finire per rovinare e/o bloccare l’esperienza per determinate categorie di utenti.

Odio

Controlli ostici

- Il feeling insoddisfacente del sistema dei controlli è il connotato negativo che risulta più evidente non appena si prende in mano The Last Case of Benedict Fox. C’è in effetti qualche problema, ma in parte la sensazione è in realtà dovuta non tanto a un malfunzionamento, quanto ad una carenza nel comunicare che una certa meccanica non è attivata in modo corretto. Per fare un esempio, l’abilità che consente a Fox di compiere un doppio o triplo salto, dipende dal fatto che il Compagno possa avere una superficie sovrastante su cui applicare il proprio tentacolo, proiettando Fox in alto con una sorta di “effetto fionda”. C’è un apposito marcatore fucsia ma è facile non badarvi durante l’azione, col risultato che capita di non riuscire a saltare quando ci si aspettava di poterlo fare, ma senza che il gioco (ad esempio con un effetto sonoro, o una animazione) segnali che il comando è stato gestito, anche se con esito negativo: invece, si ha semplicemente la sensazione che il comando di salto non "prenda”. Questo detto, una generale scarsa rispondenza dei controlli è innegabile, ma è un fattore che diventa sempre meno rilevante procedendo nel gioco: si impara a convivere con la macchinosità di certe animazioni e gli upgrade aiutano a non avvertire le lacune del combat-system. Infatti, il peso specifico delle fasi di platforming e di combattimento, che può apparire notevole agli inizi, perde via via rilevanza: non ci sono fasi di platforming realmente sfidanti ed anche le fasi di combattimento si rivelano poco più di una formalità, una volta adeguatamente potenziati. I limiti del sistema di controllo riemergono semmai in maniera realmente fastidiosa soltanto nelle boss-fight finali, dove il livello di sfida si alza (non in maniera drastica, ma) di quel tanto che basta per far desiderare controlli più reattivi e precisi.

E’ bello cambiare... anzi no

- Ha assolutamente senso aver introdotto alcune fasi ispirate ad un diverso concetto di gameplay, per dare la giusta dose di varietà, ma alla prova dei fatti esse risultano non particolarmente riuscite e devo confessare che una volta superate, sono stato ben contento di ritornare alle normali dinamiche di gioco. Le fasi di platforming “a inseguimento”, in particolare, potevano essere rese meno frustranti prevedendo un checkpoint intermedio o, come minimo, un checkpoint dedicato all’inizio della run: invece la morte in queste fasi viene gestita come di norma, per cui tocca ricominciare ogni volta dall’Ancora meno lontana. Inoltre, in queste fasi più concitate le lacune del sistema di controllo si fanno effettivamente sentire.

Missioni confuse

- La scelta di dare pochissimie indicazioni sullo sviluppo sia della quest-line principale che delle missioni secondarie si fonda su intenzioni di game design rispettabilissime e che personalmente mi trovo a condividere. Questo approccio però dovrebbe però accompagnarsi con una gestione rigorosa delle quest, in modo che le poche informazioni fornite possano risultare effettivamente utili. Invece lo sviluppo non lineare di The Last Case of Benedict Fox gioca spesso brutti scherzi al gioco stesso, generando situazioni in cui capita di completare step di missioni non ancora assegnateci, così come di completare in blocco svariati passaggi di altre quest-line con un’unica interazione, avendo magari inconsapevolmente già raccolto tutti gli oggetti richiesti: di fatto, il diario delle quest aperte risulta poco più che un mero pro-memoria di massima, non particolarmente affidabile (al punto da elencare tra le attività opzionali un evento non evitabile che fa parte invece della quest-line principale).

Salvataggi... semiautomatici

- Non è ben chiaro se sia un comportamento viziato da bug, eventualmente eliminabili con futuri aggiornamenti, o si tratti invece una scelta deliberata: resta il fatto che in The Last Case of Benedict Fox l’unico modo per essere davvero certi di salvare i progressi raggiunti è quello di procedere ad un salvataggio manuale. Peccato che questa funzione sia disponibile solo come parte dell’azione “ritorna al menù principale”, obbligando quindi a laboriose perdite di tempo ogni volta che si voglia semplicemente mettere al sicuro l’avanzamento raggiunto. Avvengono a volte dei salvataggi automatici, ma non regolarmente e soprattutto non quando ce lo si aspetterebbe: sarebbe molto più comodo (ed intuitivo) prevedere un salvataggio automatico del gioco ogni volta che si sblocca o raggiunge una delle Ancore per il “viaggio veloce”.

Tiriamo le somme

The Last Case of Benedict Fox propone un gameplay aderente ai dettami classici del genere metroidvania: molto backtracking legato all’accessibilità progressiva delle zone, molta esplorazione non lineare, una giusta dose di platforming ed azione, a dire il vero moderata (siamo ben lontani da Hollow Knight, giusto per citare un concept simile che invece non disdegna di metterci in seria difficoltà). Insomma, come si suol dire... “deve piacere il genere”. Ma se rientrate in questa categoria, con un setting ricco di fascino e la sfida aggiuntiva rappresentata da puzzle ben congegnati, The Last Case of Benedict Fox, nonostante qualche lacuna più che perdonabile ad un progetto dal budget non certo faraonico, ha tutto il necessario per regalare un’esperienza di gioco appagante e memorabile.
8.0

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L'autore

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La sua passione per il gaming nasce nel lontanissimo 1982 con Gorf per Vic-20, ma da quando ha scoperto le "gioie" della caccia agli obiettivi, gioca solo su Xbox. Il suo nemico giurato è l'Arretrato, smisurato ed in costante aumento. Maguzzolo però non si arrende: armato di sei console ed un numero sterminato di controller, continua a dare battaglia.

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