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The Last Worker

Recensione - The Last WorkerXbox Series X | S Xbox One DigitalGame

Una potentissima multinazionale dedicata alla vendita su scala mondiale di qualsiasi cosa, i cui magazzini sono totalmente gestiti da robot automatizzati… per caso, questo vi ricorda qualcosa? La realtà da incubo descritta in The Last Worker per fortuna non è ancora la nostra, ma ci vedrà agire per salvare il mondo di gioco rifletterendo criticamente anche su quello in cui viviamo. Eccovi la nostra recensione.
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Il Gioco

Vi è mai capitato di vedere all’opera, dal vivo o in un filmato, i robot che svolgono un ruolo sempre più grande nella raccolta e smistamento merci negli enormi magazzini di Amazon o di altri mega-venditori del genere? Se la risposta è no, vi consiglio di colmare la lacuna con una breve ricerca online: potrete così assistere ad uno spettacolo affascinante ed al tempo stesso inquietante, mettendovi anche nella condizione di poter comprendere al meglio lo spunto narrativo ed il messaggio che stanno al centro di The Last Worker, titolo dello studio Oiffy del poliedrico Jörg Tittel in collaborazione con gli inglesi di Wolf & Wood.

Infatti Kurt, il protagonista del gioco, è letteralmente “L’Ultimo Lavoratore” a cui fa riferimento il titolo del gioco, l’ultimo addetto in carne e ossa presente nel più grande centro di smistamento della Jüngle (da pronunciarsi con la J morbida, tipo Juventus, in modo che sia un poco meno evidente il parallelo Giungla = Amazon), mega-corporation guidata con potere assoluto dal carismatico fondatore Josef Jüngle, riconoscibilissimo per la bizzarra capigliatura arcobaleno nonché per l’innegabile somiglianza con Jeff Bezos!

MX Video - The Last Worker

Nel corso degli anni, infatti, i robot volanti della Jüngle hanno rimpiazzato progressivamente tutti gli umani nel lavoro lungo gli sterminati “alveari” ricolmi di pacchi da instradare alla distribuzione: al crescere vertiginoso del numero dei clienti, in parallelo è calato il numero degli addetti (chiamati con la gratificante qualifica di “Esploratori”), fino a raggiungere il valore 1: il protagonista, appunto.

Kurt si è ricavato un alloggio di fortuna all’interno della struttura aziendale: da anni oramai si è allontanato dal mondo esterno e vive unicamente in funzione del proprio lavoro, perennemente seduto sul proprio “muletto volante” che gli consente ampia libertà di movimento e con la sola compagnia dell’automa Skew, un assistente robotico di cui sono (erano!) dotati tutti gli Esploratori della Jüngle.

Insomma, possiamo ben dire che The Last Worker sia ambientato in un mondo paradossale, ma salvo alcune evidenti estremizzazioni, non si tratta di un mondo poi troppo lontano dalla prevedibile condizione delle nostre società in un futuro prossimo. Il tema del rapporto robot-umano è sicuramente centrale nel gioco e non solo nei suoi impatti nel mondo lavorativo: ad esempio, il rapporto tra Kurt e Skew (che hanno la voce, rispettivamente, dei bravissimi Ólafur Darri Ólafsson e Jason Isaacs), ci accompagna e cresce lungo tutto il gioco, con dialoghi quasi da buddy movie che fanno trasparire l’attaccamento tra i due… per non parlare poi di altri importanti comprimari non-umani, che entrano in scena nel corso della vicenda.

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Altra tematica centrale è quella della cosiddetta gamification delle attività lavorative, quell’insieme di tecniche (obiettivi da raggiungere, premi/penalizzazioni, classifiche) che facendo leva sulla psicologia umana, mirano a migliorare coinvolgimento e rendimento dei lavoratori. Tutto in Jüngle è gamificato, tutto è reso più “glorioso” di quanto sia in realtà (agli Esploratori viene costantemente ricordato che la loro funzione non è meramente quella di consegnare dei pacchi, bensì di: realizzare sogni) ed ogni attività è misurata da un punteggio: anche in questo caso, situazione non troppo lontana dall’effettiva realtà di non poche corporation attuali, a cominciare proprio dalla famigerata e celeberrima “giungla”.

E di questa gamification si diventa prede quando ci si cimenta con il gioco, proprio noi gamers, a cui pure dinamiche di questo tipo risultano senz’altro familiari. The Last Worker dedica infatti tutta la propria prima parte (all’incirca la prima mezz’ora di un gioco che corricchiando un po’ si completa in non più di 5/6 ore) ad immergerci nella routine lavorativa di Kurt, portandoci ad apprendere e a svolgere le sue mansioni di Esploratore nel labirintico e sterminato centro logistico. Attività alienante e di per sé non particolarmente divertente, eppure anche chi gioca si trova facilmente inserito in un questo meccanismo, spinto dalla minaccia di una valutazione bassa che significherebbe il licenziamento e, di conseguenza, il game over. Eccoci quindi, in una prospettiva in prima persona che ci mette direttamente nelle vesti di Kurt, a svolazzare freneticamente alla ricerca del pacco da prelevare, aiutandoci con la mappa e con la guida virtuale del percorso da seguire (ricordate di premere sempre la leva direzionale destra per farla apparire!).

Una volta individuato, il pacco va agganciato e scaricato sul proprio muletto utilizzando la JungleGun, dispositivo che ricorderà a qualcuno il Kinesis visto in Dead Space. Il medesimo dispositivo va usato per etichettare opportunamente gli oggetti che, una volta esaminati, dovessero avere peso o dimensioni non coerenti con le etichettature presenti sull’imballo, oppure presentassero danneggiamenti. In questi casi ci si deve dirigere verso una sorta di smaltitore di rifiuti, caratterizzato da un getto d’aria discendente in cui va scagliato il pacco; qualora invece tutto sia in regola, il plico andrà consegnato con le stesse modalità (ma il flusso d’aria in questo caso scorre verso l’alto) al punto di distribuzione. Naturalmente verremo premiati per ogni valutazione e consegna corretta, puniti per ogni errore commesso, nonché misurati in base al tempo impiegato per compiere tutto ciò (e quindi al numero di pacchi gestiti nella durata del turno di lavoro).

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Scelta coraggiosa, quella di una prima fase a suo modo “traumatica” che rischia di demotivare ed alienarsi le simpatie di chi inizia il gioco. Ma come si diceva, le dinamiche di gamification del lavoro funzionano anche nel gioco stesso, per cui ci si trova a trepidare per un licenziamento evitato di poco, a imbufalirci per un pacco perso per strada e a gongolare soddisfatti (così come Kurt nel gioco) per una valutazione da impiegato modello. Credo inoltre che si tratti di un rischio ben calcolato da parte dei game designer: prima di coinvolgerci nel molto altro che il gioco ha da offrire è opportuno, forse necessario, farci almeno assaggiare l’alienazione che un lavoro di questo tipo può generare e soprattutto come possa essere facile, quasi inconsapevolmente, perdere di vista il quadro generale, la propria condizione di vittime sostanziali di un sistema disumano e disumanizzante, esattamente come accaduto a Kurt.

Ma, va sottolineato, The Last Worker ha assai di più da offrire. Ben presto la nostra implacabile routine lavorativa viene scombussolata dall’arrivo di un colibrì meccanizzato, controllato remotamente dalla misteriosa Chayenne, la quale ci proporrà (o meglio, praticamente imporrà!) di collaborare con un movimento di Resistenza, votato ad abbattere il dominio della Jüngle. Da questo momento, ma senza poter dimenticare del tutto i nostri doveri di magazzinieri, vivremo una serie di scorribande “non autorizzate” all’interno della struttura, volte a mettere in atto un fatale sabotaggio dall’interno.

Questo cambio di scenario consente a The Last Worker di variare decisamente le meccaniche di gameplay proposte: l’agire in clandestinità rende necessario superare senza esser scorti i numerosi e spietati guardiani meccanizzati (con numerose fasi di puro stealth game), così come hackerare dispositivi di sicurezza e anche, come estrema e limitata risorsa, fare ricorso ad una dose di “sana” violenza per poter continuare la nostra missione. A questo salto di qualità delle nostre azioni si affianca un’evoluzione della JungleGun, che Chayenne doterà via via di moduli e funzionalità che la renderanno ben diversa rispetto al banale strumento lavorativo degli inizi.

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Il diversificarsi delle situazioni di gioco (quasi dimenticavo… ci sono anche alcune intense sequenze di tipo endless runner in cui dobbiamo teleguidare Skew attraverso insidiosissimi cunicoli!), porta con sé l’aumento di varietà delle ambientazioni, consentendo anche al comparto artistico (risultato della preziosa e prestigiosa collaborazione di Mick McMahon) ed al level-design di prendere quota: nel peculiare stile cartoonesco di The Last Worker abbiamo visto passarci davanti agli occhi mucche inscatolate e robottoni giganti, stretti cunicoli sotterranei e luminosi uffici dirigenziali.

A questo generale “crescendo” non si sottrae nemmeno lo sviluppo della trama, che qui ovviamente non spoileriamo: basti sapere che la vicenda porterà inaspettatamente alla ribalta un risvolto personale e privato di Kurt, che andrà fatalmente ad intersecarsi con il compimento della missione di sabotaggio a lui affidata. Al termine della vicenda tocca a noi sciogliere questi intrecci, compiendo una fra tre possibili scelte conclusive che portano ad uno dei tre finali previsti dal gioco. Ma bisogna pensarci bene, perché solo uno è il “vero” finale!

Amore

Che cast!

- Se devo indicare una sola peculiarità di The Last Worker, una voce che per qualità e impatto spicca su tutte le altre, definendo il gioco in maniera decisiva, non ho dubbi: il character design è fantastico ed è il sicuro asso nella manica di questa produzione. Non si può prescindere dalla performance di assoluto livello del cast che ha dato voce ai vari protagonisti, ma sono già i personaggi stessi ad essere ben delineati, coi loro pregi e debolezze, slanci ed esitazioni… un insieme corale da cui emerge una grande umanità ed un quadro maturo e credibile di una serie di complessi rapporti interpersonali (che qui non sveliamo!).

Le piccole cose

- Avete presente quei piccoli tocchi di classe, quelle piccole aggiunte apparentemente superflue, ma che alla fine tutte insieme conferiscono ad un’opera il proprio carattere e senza le quali sarebbe stata decisamente una “cosa” diversa? In questo gioco ce ne sono in abbondanza ed anch’esse contribuiscono ad allontanare un rischio-monotonia a cui il gioco fatalmente si espone, in certe fasi. Più in generale, questo punto viene messo per rimarcare che, nonostante si stia parlando di un progetto importante e non propriamente indie, The Last Worker rimane un prodotto con una forte componente autoriale, in cui la cura per il dettaglio, la passione per la citazione nerd (momento top personale: la rappresentazione del piano per far saltare in aria la Jungle animato come il piano di attacco alla Morte Nera in Star Wars!) ed il gusto per la battuta dissacrante non vengono mai meno.

Un giusto, rischioso, mix

- Wired Productions commercializza The Last Worker parlando di una “avventura narrativa in prima persona”, formula utile a dare un’idea di massima, ma che non rende del tutto giustizia al peculiare risultato ottenuto dal team diretto da Tittel, il quale ha in curriculum importanti credenziali da scrittore e film-maker, competenze che in questo lavoro si vedono tutte. Cos’è in sostanza The Last Worker? Non è certamente un famigerato “Bartolini simulator”, anche se i turni di carico/scarico merci ci sono. E’ troppo dinamico per essere considerato un walking-simulator, anche se senza dubbio è la componente narrativa a guidare tutta l’esperienza. La sensazione complessiva, in definitiva, è quella di vivere davvero un film interattivo, con i suoi momenti più concitati ed altri più riflessivi, altri ancora più sperimentali e onirici: un mix ben calibrato che sa diventare ben più di un mero accostamento di fasi e mini-giochi derivanti da questo o quel genere.

Odio

Controlli faticosi

- Nulla di particolarmente grave, ma si avverte una generale sensazione di scarsa precisione e prontezza dei comandi di gioco. Si ha la sensazione che The Last Worker, specie in alcune fasi, sia stato pensato con in mente principalmente l’utilizzo tramite un sistema di VR per poi adattarlo all’utilizzo con controller, che è quanto abbiamo a disposizione sulle nostre Xbox. Anche in termini di pura usabilità, specie l’utilizzo della JungleGun, con le sue diverse funzioni, risulta a volte poco intuitivo ed un po’ faticoso: per migliorare l’esperienza consiglio di sperimentare con le apposite impostazioni di gioco, che consentono di scegliere se gestire alcune funzionalità con un approccio a interruttore acceso/spento, o invece mantenendo premuto il tasto.

Dubbie prospettive

- In più di qualche occasione la tridimensionalità del mondo di gioco risulta implementata con qualche libertà di troppo, risultando poco convincente. E’ ben noto che il game director Jörg Tittel non sia un paladino del fotorealismo, come risulta anche dal peculiare stile grafico adottato da The Last Worker, ma certe rappresentazioni controintuitive ed irrealistiche sono senza dubbio fastidiose. In particolare, le dimensioni dei cunicoli in cui Kurt (con tutto il muletto compreso!) deve intrufolarsi appaiono quasi regolarmente ben più ristrette di quanto sarebbe necessario, salvo poi “magicamente” espandersi una volta che ci si affaccia al loro interno.

Un po’ troppo lineare

- E’ più che altro un’occasione sprecata, che un gioco che ambisce ad essere anche una riflessione sulle dinamiche etiche e sociali innescate dall’evoluzione tecnologica eviti poi di sottoporre chi gioca ad effettivi dilemmi morali, attenendosi invece ad una sostanziale linearità dello sviluppo narrativo. I tre diversi finali possibili dipendono unicamente da un’unica scelta conclusiva, a cui si giunge senza possibilità di alcuna variazione, sia nel percorso narrativo compiuto, sia nella situazione determinatasi fino a quel momento: in concreto, finito il gioco ricarico altre due volte il checkpoint finale, faccio ogni volta una scelta diversa, e in cinque minuti mi sono visto gli altri due finali. Da questo punto di vista, decisamente poco, in un contesto che invece si sarebbe prestato ad una maggiore articolazione degli sviluppi narrativi.

Tiriamo le somme

The Last Worker è un ulteriore, ottimo esempio del processo di maturazione del medium videoludico e delle potenzialità creative che esso offre. Quello che ci propone è un viaggio sostanzialmente breve, forse un po’ troppo lineare, ma davvero coinvolgente, grazie ad una scrittura che riesce a mettere bene a fuoco un cast di personaggi memorabili, provando allo stesso tempo a stimolare la riflessione su temi delicati e quanto mai attuali. Il tutto messo in campo da un gameplay che cerca con successo la commistione tra generi diversi e che riesce, probabilmente dopo aver superato una fase di disorientamento iniziale, a dare soddisfazione a chi è alla ricerca di un’esperienza diversa dal solito.
7.5

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L'autore

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La sua passione per il gaming nasce nel lontanissimo 1982 con Gorf per Vic-20, ma da quando ha scoperto le "gioie" della caccia agli obiettivi, gioca solo su Xbox. Il suo nemico giurato è l'Arretrato, smisurato ed in costante aumento. Maguzzolo però non si arrende: armato di sei console ed un numero sterminato di controller, continua a dare battaglia.

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