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Outlast

Recensione - OutlastXbox One DigitalGame

Qualunque essere razionale, ad una mail che lo invita ad indagare in un manicomio dalla fama sinistra risponderebbe con un “no, grazie”. Miles Upshur, giornalista freelance, accetta invece con gioia l’invito, possibile trampolino di lancio per la sua carriera, e si fionda in macchina verso il luogo indicato, salvo poi fermarsi di botto di fronte al cancello principale. Non va avanti, a meno che non siamo noi a prendere il controllo delle sue gambe tremanti. Capito l’infame?
 

Il Gioco

Dov’è il confine fra follia e genio? Spesso non è facile da definire. Prendiamo, per esempio, i primi tre ospiti del manicomio di Mount Massive incontrati da Miles. Sono in estasi davanti ad un televisore che non trasmette nulla se non righe bianche e nere. A questo punto si potrebbe dire che sono dei mentecatti, ma visto cosa passa in televisione di questi tempi forse la genialità del loro agire sconfina nell’arte provocatoria. No, non va bene. Bisogna definire dei confini più precisi. Andate da un vostro amico e senza dire nulla mollategli uno sganassone in pieno volto. Molto probabilmente risponderà con sguardo lucido e allibito: “Ma sei impazzito?!”. Perfetto, quello è un confine decisamente più netto. Possiamo quindi affermare, con assoluta sicurezza, che la maggior parte dei pazienti della struttura gestita dalla Murkoff Corp. versa in uno stato di completa follia, visto che sembrano avere come unico obbiettivo quello di sbattezzare il povero protagonista con mani, piedi, lame, vanghe, morsi e sberloni ultrasonici (di quelli che prima senti un devastante bruciore sulla guancia e poi uno schiocco). Verrebbe quasi da dire che il nostro giornalista freelance, al secolo Miles Upshur, se lo merita. Correre alle porte di un manicomio riaperto dopo anni di chiusura forzata, per via di accuse decisamente pesanti, perché una mail lo invita ad indagare su alcuni strani esperimenti in corso è un comportamento da raddrizzare a suon di schiaffi. 

Basta un minimo di cultura generale per capire che manicomi, scuole, laboratori e cimiteri, se entrano nello stato di abbandono, non sono il posto ideale dove scorrazzare alla ricerca di un qualche mistero. E se ne rende presto conto anche il signor Upshur, per la precisione nel momento in cui scopre una stanza piena di libri, scaffali, intestini, viscere, arti smembrati e un agente della SWAT impalato su uno spuntone di legno che prima di spirare lo invita a darsela a gambe sostenendo che nulla può fermare quello che incombe su Mount Massive. A questo punto Miles coglie l’antifona e parte spedito verso l’uscita, solo per essere afferrato da un grosso, grossissimo bestione ringhiante che lo lancia al piano di sotto. Serve precisare che da quel momento arrivare fino all’uscita sarà un’odissea?
 
Miles si risveglia dalla botta al centro di un manicomio abitato da pazzi e mutanti. In alcuni casi da mutanti pazzi. Il guardiano del posto è in grado di staccare la testa dal corpo delle sue vittime semplicemente prendendola fra indice e pollice. Altri invece vedono al buio, usano lunghi coltelli o apprezzano il sapore della carne umana. In tutto questo Miles ha come unico strumento di salvezza una telecamera dotata di visione notturna che gli permette di vedere nei meandri più oscuri per prevenire eventuali minacce o per nascondersi quando lo cercano. E basta. In pochi minuti Outlast mette le carte in tavola e riesce a restituire un feedback di angoscia e paranoia che non può essere descritto come un semplice peso sulla cassa toracica. Bisogna prendere come esempio, piuttosto, la rara possibilità che il soffitto crolli sulle nostre spalle nel momento in cui siamo seduti sulla tazza poco dopo il risveglio. Rimanere indifesi sul gabinetto, bloccati da un quintale di cemento e detriti senza essersi nemmeno lavati la faccia, non è così dissimile dalla situazione di Miles, che di riflesso è quella del giocatore. 

Esaminiamo gli aspetti. Indifeso: in Outlast non si combatte, non ci sono armi, e anche se ci fossero, gli aggressori sono decisamente più determinati. La miglior difesa, quindi, non è l’attacco ma la fuga. Per sopravvivere bisogna scappare lungo i corridoimfino a trovare il primo posto buono per nascondersi facendo perdere le proprie tracce. Può essere un armadietto, una scrivania, un condotto di areazione, un letto, o semplicemente un angolo molto buio dove accucciarsi e trattenere il fiato. Fortunatamente Miles è in buona forma e le sue lunghe e veloci falcate seminano quasi sempre gli inseguitori. Senza contare che l’aiuto della telecamera, con la sua modalità notturna, permette di correre anche al buio.

Il buio in Outlast è il nostro peggior nemico, ma può essere anche un compagno fedele. Tutto sta nel mantenere la calma quando scende su di noi, ammantandoci di nero pece. In quei momenti bisogna fare affidamento all’aspetto più riuscito in assoluto di Outlast: l’audio. Aprire le orecchie a 360 gradi, come dei radar, è il modo migliore per evitare una brutta fine. Imboccare le strade più silenziose, cercare di far meno rumore per non coprire i passi del predatore che ci cerca. Aspettare immobili quando serve, senza fretta. Passare oltre le spalle dei folli, superare i mostri che ghignano, pregare quando un’asse scricchiola sotto il nostro peso, sono meccaniche e aspetti di Outlast che pian piano si insinuano in noi trascinandoci dentro il gioco di Red Barrels e ottenendo un’immedesimazione quasi totale. È difficile rimanere distaccati in Outlast perché il senso di disagio, la paura che si prova ad essere scoperti sono qualcosa di più intimo e invadente di altri titoli dello stesso genere: dove i mostri del più classico gioco horror si annunciano con urla e attaccano anche dalla distanza, i pazzi di Mount Massive usano il buio per arrivare a pochi passi dai nostri occhi, vogliono il nostro sangue e lo vogliono prendere con le loro stesse mani.
 
Fortunatamente, entro certi limiti s’intende, non tutti i pazzi ritengono fondamentale il nostro trapasso. Alcuni addirittura ci aiutano nel loro modo sghembo d’intendere le cose e ci forniscono utili suggerimenti per andare avanti nei corridoi sempre più distorti e opprimenti. Sarà seguendo le loro indicazioni che Miles… nulla da fare, se volete sapere come finisce dovete mettere piede anche voi nel manicomio. Perché sono infame.
 

Amore

Non è che sia esattamente horrAHHRH!

- La formula di Outlast non è nuovissima, sia perché la versione approdata su Xbox segue quella su PS4 e PC, sia perché Amnesia: The Dark Descent, titolo del 2010 sviluppato da Frictional Games è forse il gioco che più di tutti ha sdoganato il concetto di survival horror senza possibilità di difesa. Ciononostante, Red Barrels ha saputo portare la formula allo step successivo, sia aumentando in maniera vertiginosa l’atmosfera, sia dotando la meccanica della fuga di nuovi espedienti (il nascondersi negli armadietti e così via, lo sfruttare la visione notturna) che permettono al giocatore uno spazio di manovra utile ad aumentare il divertimento e a tenere a freno la frustrazione che potrebbe derivare dal dover sempre e solo scappare. Outlast funziona alla perfezione da questo punto di vista, anche se soffre di un paio di difetti che vedremo più avanti. Si potrebbe quasi pensare ad una nuova categorizzazione: stealth horror.
 

Il rumoroso erede dell’Ishimura

- Uscito nel 2008, Dead Space aveva colpito il pubblico e la critica soprattutto per il comparto audio estremamente curato. Viste le meccaniche scelte da Red Barrels, anche Outlast necessitava di un ottimo impianto sonoro e il lavoro fatto può tranquillamente affiancarsi alla pari ai suoni siderali di Visceral Games. Tutta la bravura con cui ha lavorato il team di sviluppo viene fuori non nei momenti più concitati ma, paradossalmente, in quelli più silenziosi, quando gli unici suoni emessi dalle casse sono il respiro del protagonista e i suoi passi che riverberano nelle assi di legno. Una vera goduria.
 

Finiamo questo, poi tutti a casa!

- Nonostante Outlast non goda di repentini cambi di regime e ambientazione etichettabili come colpi di genio o gran momenti di game design, gli sviluppatori hanno comunque preso la coraggiosa decisione di non allungare il brodo inutilmente. La trama procede dritta verso i vari espedienti senza bloccare il giocatore in sessioni sempre uguali a sé stesse o rendendolo preda del fastidioso backtracking spesso usato per aumentare il minutaggio. Questo fa sì che Outlast ne risenta in termini di longevità, potendo essere completato in un tempo variabile fra le 3 e le 5 ore, ma vista la natura ansiogena del titolo è forse un bene che non si sia portata l’atmosfera, e quindi il giocatore, verso la saturazione. Si arriva alla fine della storia ancora con il timore di poter essere spaventati in ogni momento, senza avvertire quel senso di blanda noia che assale i titoli horror che puntano troppo sulle loro meccaniche iniziali, ripetendole fino allo sfinimento.
 

Odio

Tutto chiaro? ‘nsomma

- A livello narrativo Outlast punta sul ritrovamento di documenti e diari anziché fermare l’azione con cutscenes o filmati. Se questo non interrompe il flusso di gioco, rende anche più difficile comprendere appieno tutte le sfaccettature della trama. I documenti che si trovano in giro per il manicomio aggiungono parti della storia facendo riferimento a nomi e personaggi del passato, e sta al giocatore ricombinare il puzzle per avere la visione d’insieme. Purtroppo non funziona appieno, basta perdere qualche documento per strada e già il quadro si fa più fumoso. Questo è aggravato dal fatto che la storia, di per sé, non è particolarmente originale. Voglio dire, stiamo ancora al livello dello scienziato nazista fuggito dalla guerra per continuare nella sua ossessione. Un espediente alquanto abusato. Il finale, poi, con la sua “devastante” rivelazione, offre la grandissima tentazione di rispondere a tutta quella messa inscena con un blasfemo riferimento ai defunti del nostro informatore. Personalmente sono arrivato a rimpiangere l’asettica e professionale organizzazione della Umbrella Corporation, se non la loro incredibile e perversa visione del mondo e della sete di potere. Quelli, signori miei, sono dei professionisti con le palle.
 

Ehm, come torno indietro?

- Il fallimento in Outlast è inevitabile. A volte ho volutamente mandato tutto a rotoli per controllare un percorso migliore e ripetere con maggiore lucidità. Un piccolo problema che si nota, però, sta nella mancanza di un’opzione per caricare l’ultimo salvataggio in scioltezza. Bisogna necessariamente uscire al menu di gioco e rientrare. A meno che non si chieda l’aiuto di un qualche inquilino della palazzo che con un paio di randellate aggiusta la mancanza.
Insieme a questo problema segnalo anche un piccolo glitch utile per facilitarsi la vita: per mantenere viva la visuale notturna della videocamera è necessario recuperare delle batterie. Nel caso queste si esauriscano, però, è sempre possibile consumare quella rimasta, salvare, uscire dal gioco e ricaricare. La batteria sarà nuovamente carica.
 

Tiriamo le somme

Vi sono stati dei momenti in cui la pressione muscolare esercitata dalle mie terga avrebbe avuto buon gioco a trasformare il carbone in diamante, e dei momenti in cui le sopracciglia eseguivano la danza della perplessità. Alla fine della corsa, però, Outlast mi ha lasciato più impressioni positive che negative. Può anche essere vista come un’esperienza non nuova, visto che il suo sbarco sulla console Microsoft segue quello di altre piattaforme, ma chi è alla ricerca di qualche ora di sana angoscia e non ha voglia di stuzzicare la burocrazia italiana può puntare su Outlast ad occhi chiusi. In senso lato s’intende.
7.9

Recensione realizzata grazie al supporto di Xbox.


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L'autore

autore

Un giorno qualcuno gli disse che c'erano altri giochi oltre Age of Empire. Da quel momento è alla ricerca dell'esperienza definitiva, molti sostengono faccia apposta a non trovarla per poter continuare a giocare. Convinto sostenitore de "il voto non fa il gioco", scrive su diversi siti, un paio addirittura creati da lui. Un giorno scomparira nel nulla in un vortice di gameplay, o impazzito scenderà in strada urlando di minacce a New York e brandendo una spada immaginaria.

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Commenti

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